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Gennaio/2007 - Articoli e Inchieste
Flussi migratori
Analisi serie ed equilibrate
di Mons. Domenico Sigalini - Segr. Comm. Episc. Migrazione Cei

C’è da compiacersi che questo Dossier sia arrivato alla sua XVI edizione, senza stanchezze e flessioni, anzi con una vigoria che gli consente una continua espansione e gli guadagna una sempre maggiore credibilità non solo fra gli addetti ai lavori, ma pure a livello accademico, dei mass media e delle pubbliche Istituzioni. Nel frattempo altre iniziative analoghe hanno cominciato a svilupparsi su base nazionale o regionale o provinciale, molte delle quali veramente apprezzabili. Tuttavia il Dossier mantiene integra la sua attualità e validità insostituibile, perché affronta il fenomeno dell’immigrazione in tutti i suoi aspetti, attinge a una ricchezza sempre maggiore di fonti e su ogni capitolo conduce analisi serie ed equilibrate, basate rigorosamente sui dati e non su impostazioni ideologiche o comunque di parte. Ciò non toglie che l’impostazione generale sia ispirata a quel forte solidarismo e a quel sano umanesimo che sono i propri della Dottrina sociale della Chiesa.
Ci domandiamo come mai proprio in ambito ecclesiale quindici anni fa sia nata questa iniziativa ed abbia perseverato fino ad oggi. Credo che all’inizio sia apparsa anche a titolo di supplenza, perché mancava in Italia un sussidio del genere; tuttavia a dar vita e a sostenere in vita il Dossier è stata e continua ad essere, da parte dei promotori, un’esigenza specificamente pastorale: esigenza di conoscere con la maggiore esattezza ed obiettività possibile quanti sono, da dove vengono, in quale situazione si trovino per stato civile, per età, per lavoro, per abitazione ecc. questi nuovi soggetti, verso i quali la Chiesa è debitrice del suo servizio sia strettamente pastorale sia socio-assistenziale e di promozione umana. Di riflesso questa attenzione così minuziosa e ostinata al numero, alle statistiche, alle tabelle ha una sua positiva ricaduta anche in ambito civile e della Pubblica amministrazione. Ne risulta pertanto un manuale di grande utilità per gli addetti al lavoro, per chi è a vario titolo in immediato contatto con gli immigrati e allo stesso tempo il manuale conserva il suo qualificato valore scientifico.
Aggiungo che le cifre hanno una loro eloquenza; dietro ogni numero c’è un volto, si nasconde un problema squisitamente umano, si può sentire l’esigenza di un intervento, un’invocazione di aiuto. Cifre dunque che parlano da sé, suscitano interrogativi e postulano soluzioni. Faccio un solo esempio in riferimento al capitolo sui minori immigrati o di seconda generazione; mi attrae questo capitolo perché per diversi anni ho diretto presso la Conferenza Episcopale Italiana il Servizio nazionale Pastorale Giovanile.
In quel capitolo si denuncia che stiamo ancora indietro nella statistica dei minori stranieri e, anche se l’Istat fornisce annualmente il loro numero complessivo e li ripartisce per province, restano auspicabili ulteriori disaggregazioni per tenere, età, provenienze, trattandosi di aspetti rilevanti ai fini operativi. Da questo capitolo, dunque, viene un sano avvertimento ad attrezzarsi per colmare le lacune, anche se possiamo immaginare quanto sia complesso il collegamento dell’Istat con i Comuni per avere in tempo utile questi dati.
Risulta inoltre che la fascia dei minori è in rapido sviluppo. Otto anni fa, come direttore del Servizio di Pastorale Giovanile, ho promosso assieme alla Migrantes un seminario dal titolo: “Giovani immigrati e comunità ecclesiale”. Franco Pittau tenne la prima relazione e, riferendosi agli ultimi dati Istat, disse che allora i minori erano 125.000, un decimo della popolazione immigrata. Questo Dossier, relativo al 2005, dice che ora questa fascia di età è sulla soglia delle 600.000 unità e sfiora il 20% degli immigrati. Questi numeri sono una spia formidabile per guardare avanti e domandarsi come si configurerà la società italiana fra dieci anni. Se lo domandano in particolare quelle città dove le nuove nascite da ambo i genitori stranieri sono già un terzo del totale.
Ma prima ancora di porre interrogativi sul prossimo futuro è importante guardare all’oggi, ad esempio all’anno scolastico in corso, che registra oltre mezzo milione di alunni di lingua e culture diverse, con una forte concentrazione in molti centri urbani che richiede urgente soluzione. Anche su questo problema il Dossier è una spia di avvertimento.
E’ una spia pure per evidenziare come la crescente presenza di minori sia elemento di equilibrio sociale e di tranquilla convivenza anche per gli adulti. In tenera età ci si adatta, si assimila rapidamente, ci si identifica senza difficoltà con l’ambiente, insomma ci si integra rapidamente e di conseguenza si accelera il processo di integrazione anche dei genitori con i quali si convive e ai quali si trasmette, spesso inconsapevolmente, abitudini, gusti, cultura, lingua italiana.
Vedo infine che i dati del Dossier, e non solo quelli del capitolo in questione, sono utili alle nostre comunità ecclesiali per verificare in concreto quali servizi esse possono offrire a questi minori, servizi che sono impostati per l’educazione cristiana dei cattolici, ma che possono essere utili per tutti i minori, a prescindere dalla loro appartenenza religiosa; penso ad esempio alla funzione degli oratori parrocchiali o dei gruppi scout.
Torno ora ad alcune considerazioni generali, che mi sono ispirate dal Dossier:
a) anzitutto il senso di modestia e di misura che si deve assumere da parte di tutti di fronte all’odierno fenomeno migratorio. Credo che l’esperienza di questi anni, attraverso legislature di orientamento politico opposto, ci debba convinvere che il problema migratorio odierno in qualche modo ci sorpassa. Non voglio affatto dire che sia del tutto ingovernabile e che i responsabili della cosa pubblica non debbano fare ogni sforzo per gestirlo efficacemente, ma sarebbe utopia ritenere che qualcuno abbia in mano la bacchetta magica per farlo, la formula legislavita perfetta. In campagna elettorale si è soliti essere massimalisti ed in parte è comprensibile; e non è cosa disonesta se quanto si propone rimane l’obiettivo ideale cui avvicinarsi il più possibile; poi bisogna fare i conti con la realtà, e sappiamo che i movimenti migratori, quelli soprattutto che oggi avvengono sotto la spinta della sopravvivenza, per non dire della disperazione, hanno un andamento imprevedibile.
b) Occorre pertanto tanta duttilità e tanta disponibilità a rivedere periodicamente la normativa, perché non rimanga estemporanea e inapplicabile, perché questo non nuoce soltanto ai migranti ma in genere alla nostra società. Questa revisione della normativa è suggerita non tanto dal cambiamento dell’orientamente politico, quanto dal rapido mutare delle situazioni che si devono affrontare. E’ questo uno dei temi caldi e complessi in cui sarebbe auspicabile che, fra le varie parti politiche, si smorzasse il tono polemico e si cercasse, almeno su alcuni punti fondamentali, un certo accordo, che necessariamente avrà l’aspetto del compromesso. Il compromesso probabilmente non rende pienamente soddisfatto nessuno, ma di fatto tanto spesso rimane l’unica via praticabile, quella che nelle circostanze concrete si presenta come la soluzione ottimale. E’ triste se dovesse prevalere l’ideologia, il prestigio e protagonismo personale, la voglia ostinata e perfino rabbiosa di spuntarla a tutti i costi.
c) Realisticamente è da prendere atto che l’immigrazione, per quanto ci si sforzi di regolarla e di prevenirne gli effetti negativi, ha e continuerà ad avere un impatto sotto molteplici aspetti piuttosto duro con la nostra società. Non è a causa degli immigrati, non è a causa degli italiani né dei loro governanti; avranno tutti una certa dose di responsabilità, ma la durezza dell’impatto avviene per la natura stessa del fenomeno; e bisogna fare di necessità virtù. E’ chiaro che la presenza di immigrati potrebbe prolungare la fila davanti agli sportelli delle varie Amministrazioni, provocare casi di concorrenzialità nel lavoro, far sorgere notevoli problemi anche di carattere didattico in una classe dove gli alunni stranieri costituissero un numero elevato (specialmente se vengono a mancare i mezzi finanziari e il personale necessari). Non ci si devono nascondere le difficoltà, bisogna accettare che ognuno abbia un prezzo da pagare, anche noi italiani, convinti che il risultato globale sarà a beneficio di tutti.
d) Si tenga poi presente che anche un’ottima legge produce ben pochi effetti positivi se non vi corrisponde poi un apparato burocratico che la traduca debitamente e tempestivamente in atto. E’ il primo dei rilievi che il Comitato di presidenza del Dossier statistico si permette di fare nell’introduzione al volume. Occorre - vi si legge - “snellire gli adempimenti amministrativi... evitando le misure vessatorie o scarsamente funzionali, che pesano sugli uffici e generano malumore tra gli interessati”.
e) Non si insisterà mai abbastanza sul ruolo dell’associazionismo e del volontariato non a sostituzione ma a sostegno e stimolo delle Pubbliche amministrazioni, in spirito di autentica collaborazione. per questo è urgente ridare vita a quelle strutture di partecipazione democratica previste dalla legge ma che da troppo tempo rimangono lettera morta. Merita perciò tutto l’appoggio la richiesta recentemente inoltrata al governo da parte di diverse forze sociali di avviare un regolare tavolo di confronto sui problemi dell’immigrazione.
f) E, infine, interpretando così l’auspicio condiviso da tutto l’ambito sociale, non si perda mai di vista una forte dimensione solidaristica che deve animare tutto questo vasto mondo della mobilità umana. Alla base delle nostre politiche migratorie va posto non solo l’equilibrio fra domanda e offerta del mercato di lavoro, ma pure una visione solidaristica, che tiene presente, assieme alla situazione economica del nostro Paese, anche quella dei Paesi di partenza degli immigrati.
A conclusione, piace esprimere questo concetto con la chiara e densa affermazione di Giovanni Paolo II: “Anche se i Paesi sviluppati non sono sempre in grado di assorbire l’intero numero di coloro che si avviano all’emigrazione, tuttavia va rilevato che il criterio per determinare la soglia della sopportabilità non può essere solo quello della semplice difesa del proprio benessere, senza tener conto della necessità di chi è drammaticamente costretto a chiedere ospitalità”.

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