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Gennaio/2007 - Articoli e Inchieste
Eutanasia
Le opinioni pro e contro
di

Coloro i quali hanno desiderato la morte di Piergiorgio Welby, hanno digiunato per la condanna al patibolo di Saddam Hussein. Pur comprendendo la diversità dei due casi, esiste un minimo comune denominatore: la vita!
Sacra per ogni essere umano e, indipendentemente dagli eventi, va sempre e comunque rispettata (non mercanteggiata).
Sergio Camellini (lettore de Il Giornale)

Sento ripetere degli strani discorsi. Come se la persona in fin di vita che rifiuta l’accanimento terapeutico volesse costringere quanti sono in condizioni analoghe a fare altrettanto. Si tratta dello stesso argomento dozzinale di chi sostenne che l’introduzione del divorzio e dell’aborto significasse (...) una sorta di precetto generale per costringere a divorziare e abortire. O di chi asserisce che l’introduzione dei Pacs distrugge il matrimonio tradizionale e perfino che le unioni di fatto tra omosessuali sarebbero la dissoluzione di quella procreazione necessaria per l’identità italiana.
Questi discorsi sono pretestuosi perché fanno credere che una legge volta a tutelare specifici diritti di soggetti deboli provocherebbe obblighi per l’intera comunità tali da distruggere altre situazioni nazionali. Si dirà piuttosto che si tratta di una questione di valori, più precisamente della salvaguardia di quei valori tutelati dalla Chiesa con le sue gerarchie ufficiali [...]
Massimo Teodori (Il Giornale)

La cultura radicale è una cultura dei diritti, ma non nel senso della legge naturale, interpretata dal Cristianesimo come fondante diritti inerenti alla persona e antecedenti lo Stato. Nella cultura radicale l’unico diritto è il diritto positivo e si tratta perciò di concessione dei diritti fatti con leggi dello Stato. [...]
Un atto internzionalmente illegale è un atto rivoluzionari e tende a stabilire una nuova legalità. Ma il principio che verrebbe sancito con un atto legale o con un atto rivoluzionario stabilisce sempre il concetto che lo Stato può decidere che una vita che non vale la pena di essere vissuta a giudizio dell’opinione pubblica (e pare che Welby abbia la maggioranza dei consensi) possa essere soppressa. Del resto si può chiedere come fa Barbara Spinelli, il diritto di Welby a non dipendere dalla macchina in nome del principio che l’uomo non può dipendere dalla macchina. La Spinelli non è radicale, ma egualmente sostiene la legittimità dell’atto rivoluzionario che gli consente di non condividere l’idea di una legge che autorizza la dolce morte come diritto. Vive nella Spinelli un certo estremismo umanistico per cui la macchina è indegna dell’uomo.
Se lo Stato interviene a legalizzare in nome del caso umano di Piergiorgio Welby che vuole morire, segnerebbe il principio che lo Stato può interrompere la vita quando chi la conduce ritiene che per lui la vita non valga più la pena di essere vissuta e che il vero vivere sia il morire. [...]
G. Baget Bozzo (Il Giornale)

Sono contro l’eutanasia, ma questo doloroso caso Welby ci impone di migliorare gli strumenti giuridici per queste situazioni. Il disegno di legge sul testamento biologico bisogna discuterlo e portarlo in aula. Sono da bandire gli scontri ideologici su queste materie.
C’è bisogno di decidere ma nel rispetto delle posizioni diverse dalle nostre.
Franco Marini Presidente del Senato
(La Repubblica)

Il valore dei diritti della persona, la libertà di scelta e il rapporto tra medico e paziente. Dimostra altresì essenziali il confronto e il dialogo nel mondo della politica ma anche in quello scientifico e professionale.
Mi sembra inoltre che confermi quanto da me sostenuto sulla necessità di varare con urgenza norme in grado di chiarire la delimitazione giuridica di ciò che va considerato accanimento terapeutico.
Livia Turco - Ministro della Sanità
(La Repubblica)

Occorre affrontare i problemi con saggezza, equilibrio e umiltà, senza piantare bandiere ideologiche.
Occorre vedere se si può arrivare a delle norme equilibrate che consentano di evitare che l’accanimento terapeutico sia fonte di sofferenza, anziché di cura, per chi ha delle malattie nello stadio terminale.
Piero Fassino - Segretario Ds
(La Repubblica)

Per quanto mi riguarda non si potrà che confermare la scelta del nostro ordinamento che non prevede l’eutanasia.
Occorrerà intervenire sul testamento biologico. Ma i tempi non saranno brevi
Rosy Bindi - Ministro della Famiglia
(La Repubblica)

Mi sembra molto ideologico sostenere che esista una differenza radicale tra l’eutanasia attiva e l’interruzione delle cure. Se si ritiene lecito il semplice atto di interrompere la respirazione artificiale, mentre si considera inammissibile abbreviare le conseguenti sofferenze del paziente, si arriva al paradosso per cui non sarebbe colpevole un’azione destinata a produrre una terribile agonia, mentre lo sarebbe un atteggiamento volto a lenire il dolore della persona che viene lasciata morire.
Roberto De Monticelli
Docente di Filosofia della persona
(Corriere della Sera)

L’insegnamento della Chiesa è chiaro e coerente: no all’accanimento terapeutico e no all’eutanasia. Mettendo sempre al centro di ogni discussione la sacralità della vita, dono di Dio e, per questo, valore irrinunciabile e non negoziabile.
L’eutanasia equivale a dare la morte, sempre, e la Chiesa non potrà mai accettarla. Come pure l’accanimento terapeutico, pratica inaccettabile perché comporta l’uso di mezzi sproporzionati, assolutamente inutili, per la guarigione di un malato terminale. E’ una inutile e crudele pratica che prolunga solo l’agonia, il dolore e le sofferenze.
Cardinale Javier L. Barragan
(La Repubblica)

Parlo non da presidente della Federazione degli Ordini dei medici ma interpretando la posizione della media dei colleghi. Se dovessimo staccare la spina a lui, dovremmo farlo con migliaia di pazienti nelle sue stesse condizioni. Lei se la sentirebbe di spegnere la mente di un uomo così lucido, capace di descrivere in modo così profondo il dramma che sta vivendo? No io non me la sentirei.
Credo che Welby con la stessa forza con cui chiede di morire abbia scelto di rinunciare agli antidolorifici e di soffrire per mantenere la lucidità e continuare la battaglia. La cosa migliore sarebbe interrompere l’accanimento mediatico.
Amedeo Bianco - Ordine dei Medici
(La Repubblica)

Piergiorgio Welby ha subito l’intervento di una macchina. Con il passare del tempo questo intervento si è rivelato assolutamente incapace di migliorare lo stato di salute, di alleviare la sofferenza, di rendere diversa la qualità della vita. Un intervento di emergenza è diventato la cronicizzazione di una situazione ormai insopportabile.
Sembra ovvio che la macchina di Welby non ha più alcuna funzione terapeutica. E dunque determina una terapia inutilmente ostinata.
Luigi Manconi - Sottosegr. alla Giustizia
(La Repubblica)

In cinquat’anni di vita il Partito Radicale ci ha abituati alle sue battaglie di disobbedienza civile. Ricordate gli aborti praticati da Emma Bonino per spingere la classe politica a fare una legge che consentisse l’interruzione di gravidanza? Il rifiuto a indossare la divisa per far approvare il diritto a non impugnare un’arma, svolgendo un servizio civile alternativo a quello militare? O - ancora - l’hashish distribuito da Marco Pannella per indurre il Parlamento a liberalizzare le droghe? Quelle dei militanti della Rosa nel pugno erano autentiche provocazioni, pugni nello stomaco con cui gli stessi radicali erano pronti a rischiare l’illegalità pur di richiamare l’attenzione su un problema. Le loro erano scelte politiche studiate ad arte per suscitare scandalo, finire sui giornali, aprire processi in cui, alla fine, non loro - i radicali - ma le questioni degli aborti clandestini, dell’obiezione di coscienza e dello spaccio di droga finissero sul banco degli imputati. [...]
Nel caso Welby però ci sembra siano andati oltre il pugno nello stomaco. Ciò che resta di quel partito appare vittima, stavolta, di un riflesso condizionato che lo condanna al ruolo di disobbedienza, senza rendersi conto che in gioco non c’era il diritto alla “canna” giornaliera o quello di non tenere in mano il fucile, ma una vita umana.
Maurizio Belpietro
Direttore de “Il Giornale”

Io credo che intorno alla vicenda di Piergiorgio Welby sia stata fatta una grossa strumentalizzazione politica. A Piergiorgio e a Mina va tutto il nostro appoggio, l’affetto e la comprensione. Avremmo voluto tutti che a Piergiorgio fosse risparmiato tanto dolore e tanta sofferenza, io rispetto la battaglia che portava avanti, è una battaglia in cui non credo ma la rispetto.
Però va detto che è stato sottoposto ad un pressing dei suoi amici radicali, i quali hanno fatto della sua vicenda umana una operazione politica.
Paola Binetti - Senatrice (Il Giornale)

Di una sola cosa possiamo star sicuri: Piergiorgio Welby era infinitamente migliore di coloro che l’hanno ammazzato. E’ nella prova suprema che vengono fuori la verità e il coraggio d’un uomo e Welby ha ordinato al medico: staccami prima di tutto il respiratore automatico, e solo dopo somministrami i farmaci per combattere il dolore.
Gli era ostile la macchina, non la vita. Ma il dottor Mario Riccio, l’anestesista arrivato da Cremona per dargli la morte, non ha voluto accontentarlo. “Era improponibile dal punto di vista deontologico e giuridico, avrebbe sofferto troppo”, si è giustificato.
Non è stato accontentato in nulla, Piergiorgio Welby. chiedeva di morire da vivo. L’hanno fatto morire da morto. Ora il dottor Riccio confessa che “no, non è stata una cosa facile”. Da domani lo sarà meno ancora. E così per sempre, sino alla fine dei giorni.
Stefano Lorenzetto (Il Giornale)

Ufficialmente la decisione è stata presa dal Vicariato di Roma, cioè dal cardinale Camillo Ruini. Ma è del tutto improbabile che su una vicenda così delicata e rilevante non sia stato interpellato Benedetto XVI: la scelta vaticana di non concedere i funerali religiosi a Piergiorgio Welby assume così un peso e una gravità enormi, e non solo dal punto di vista religioso. [...]
Invece di una decisione cristiana, il Vaticano ha preso una decisione politica, come appare evidente dallo stesso linguaggio del comunicato. Nel quale l’espressione di massimo rispetto per Welby sta nel definirlo “il defunto dott.”, così tipico di una pratica burocratica.
Giordano Bruno Guerri (Il Giornale)

Rispetto la decisione del Vicariato di Roma per quanto riguarda i funerali religiosi di Welby.
Soltanto mi chiedo: se davvero Piergiorgio Welby, prima di morire si è affidato alla misericordia di Dio, non poteva essere questa incovazione un motivo per concedere i funerali?
Alessandro Maggiolini
Vescovo emerito - Como (Il Giornale)

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