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Febbraio-Marzo/2007 - Articoli e Inchieste
Libano
Un Paese dove gli accordi non sono mai rispettati
di dal nostro inviato Leandro Abeille

La situazione politica
odierna, con le contrapposizioni
anche sanguinose tra gruppi antagonisti
rispecchia l’andamento della storia libanese
dal 1975, quando ebbero inizio le guerre fratricide


Pensando al Libano, ci tornano in mente i ricordi di guerre passate, i massacri di civili inermi ed i film sulla “Delta Force”. Prima la guerra civile, poi quella con Israele, sembra che il Libano e la sua capitale Beirut, siano sempre state al centro di carneficine.
Fino alla metà degli anni ’70 invece, il Libano era considerato “la Svizzera del Medioriente”, le ricche famiglie arabe, compresa quella bin Laden, passavano le vacanze tra cedri, casinò e le spiagge del mar Mediterraneo.
Tutto in Libano è doppio e spesso triplo, nel 1943, anno di indipendenza dalla Francia, il Presidente Bishara al Khouri, un cristiano-maronita, ed il Primo Ministro Riyadh al Solh, un sunnita, firmarono un “gentlemen agreement”, mai tradotto in documento ufficiale, adottando una formula, di assegnazione per cariche istituzionali, basata sul sistema confessionale; da allora: il Presidente della Repubblica è sempre stato un cristiano, il Primo Ministro musulmano sunnita, il Presidente del Parlamento un musulmano sciita.
Le religioni rappresentano uno spartiacque istituzionale ma non ideologico e allora, dei cristiani sono alleati con l’opposizione guidata da Hezbollah ed Amal. Altri cristiani sono alleati con i drusi, appartenenti ad una religione che è un misto di sciismo, filosofia greca e gnosticismo e con i sunniti, musulmani come gli sciiti ma fieramente nemici. Anche i movimenti spontanei sono doppi il movimento pro-Siria dell’8 marzo 2005, fa da contraltare alla cosiddetta “rivoluzione dei cedri” del 14 marzo 2005, a sei giorni di distanza, metà Libano era sceso in piazza e sembrava differente, dall’altra metà. Dal 1975 il Libano non trova pace, grazie a decine di guerre fratricide e ad una spaventosa immigrazione (iniziata nel 1948) di profughi palestinesi che, con l’attenta regia di Arafat, a più ondate (1968, 1973) invadono, la terra dei cedri.
I primi profughi arrivarono dopo la guerra del 1948, altri 500.000 palestinesi dopo la guerra dei sei giorni, i successivi dopo essere stati cacciati dalla Giordania. Sono anni in cui gli scontri tra palestinesi ed Esercito regolare libanese sono quotidiani.
La guerra civile, causata dallo squilibrio dei delicati compromessi religiosi ed etnici, dalla creazione di uno Stato nello Stato, ad opera dell’Olp (Organizzazione per la Liberazione delle Palestina) e dalle ingerenze siriane e israeliane soprattutto, è durata quasi 20 anni.

La storia moderna libanese
La situazione di tensione tra i vari gruppi presenti in Libano, sfociò, in guerra civile, fra le componenti armate cristiane e una coalizione di sinistra con a capo il druso Kamal Jumblatt alleato con Olp. I drusi erano ai margini della politica libanese e ricercavano un maggior peso politico, l’Olp voleva creare una sorta di extraterritorialità palestinese in Libano.
Dei guerriglieri dell’Olp furono colpevoli della classica goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Il 17 aprile uccisero due cristiani. Per rappresaglia, i cristiani uccisero una trentina di palestinesi. La guerra era iniziata.
Dopo qualche tempo drusi e Olp avevano preso il controllo di varie parti del Paese. Era giunto il momento per la Siria d’intervenire militarmente.
Le truppe siriane, con il mandato dei Paesi Arabi e dopo la richiesta del Presidente libanese, con la denominazione di “Forza Araba di Dissuasione”, riportarono nel tardo 1976, una parvenza d’ordine nelle grandi città. Le truppe di Damasco si mossero in favore della destra cristiana, con il fine dichiarato di controllare il piccolo vicino che, in mano ai drusi e all’Olp, sarebbe diventato instabile e con il fine sperato e mai abbandonato, di inglobare il Libano per creare la “grande Siria”.
Dopo cinquantamila morti, un milione di senza tetto e massacri inenarrabili, la guerra sembrava al termine. Il Libano sembrò rianimarsi, tuttavia, molte zone del Paese erano ancora in mano alle milizie e i cristiani iniziavano a non soffrire gli ingombranti alleati. Israele, sentendosi esposto al suo confine settentrionale dagli attacchi palestinesi, si alleò con la alcune milizie cristiane, per favorire la crescita di una forza militare di propria fiducia, nel sud del Libano. Iniziava a costituirsi un abbozzo della famosa fascia di sicurezza.
Le varie milizie nel frattempo continuavano una guerra ad intensità variabile, formando delle roccaforti in tutto il Libano, spartendosi a colpi di mitra, la città di Beirut. La situazione peggiorò con l’assassinio di Jumblatt. La colpa fu data ai cristiani (che nel frattempo si ammazzavano tra di loro), anche se, le responsabilità dei Siriani, colpevoli di doppi e tripli giochi con tutte le fazioni, erano evidenti. La guerra era di nuovo, per le strade di Beirut.

La guerra continua
Nel marzo 1978, per reazione ai continui attacchi delle milizie palestinesi, Israele sferrò la prima invasione del Libano meridionale, fino al fiume Litani, per distruggere le basi dei guerriglieri dell’Olp. L’operazione ebbe successo ed un’altra ondata di palestinesi raggiunse Beirut. In seguito ad un parziale ritiro dello Tshal (l’Esercito israeliano), l’Onu, dislocando un contingente di caschi blu, avviò la missione Unifil 1.
Nel 1982, dopo un attentato contro l’ambasciatore israeliano a Londra, per mano di un commando palestinese, il governo israeliano avviò l’operazione “Pace in Galilea”, coordinata dal ministro Ariel Sharon. Con lo scopo di cancellare l’Olp (che aveva creato uno Stato nello Stato) dal Libano, l’Esercito israeliano varcò di nuovo i suoi confini settentrionali, arrivando in poco tempo fino alle porte di Beirut.
I Caschi Blu di Unifil furono dei meri spettatori dell’invasione, mentre le forze siriane, che pure avevano provato a contrastare lo Tshal, furono annichilite dall’aviazione con la stella di David. A Beirut, gli israeliani bersagliarono il quartiere generale dell'Olp che resisteva strenuamente casa per casa. Migliaia di profughi palestinesi scappavano verso nord mentre si giungeva ad un accordo tra Israele ed Olp.
Le forze israeliane non sarebbero entrate a Beirut ovest, dove erano asserragliati i palestinesi e Arafat con 13.000 dei suoi combattenti, si sarebbero ritirati sotto la supervisione americana. L'evacuazione palestinese iniziò il 22 agosto, ma il 14 settembre le forze israeliane penetrarono comunque a Beirut ovest.
Israeliani e Olp non erano gli unici belligeranti, tutti avevano conti in sospeso, fu allora che, nei campi profughi di Sabra e Chatila, in territorio sotto controllo israeliano, numerosi civili palestinesi furono barbaramente massacrati dalle milizie della “Falange Armata” cristiana, desiderosa di vendetta, per l’assassinio del suo capo Bechir Gemayel, neo-eletto Presidente della Repubblica.
Dopo il massacro, l'Onu decise l'invio di un contingente di pace per proteggere la popolazione civile: vi concorsero Italia, Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna. L'obiettivo era quello di far uscire dal Libano tutte le forze straniere e di ripristinare la sovranità del governo di Beirut su tutto il Paese. Ad un passo dal successo, con l'accordo fra il Libano ed Israele del 17 maggio 1983, il presidente siriano Assad si rifiutò di ritirare le sue truppe dal Paese. Intanto, nel sud del Libano, la popolazione a maggioranza sciita, che inizialmente non si era opposta all'invasione israeliana in funzione anti-palestinese, iniziava a rivoltarsi contro Israele e contro le truppe straniere con mandato Onu. Era nato Hezbollah - il Partito di Dio.

Verso una soluzione
Nel 1985, il partito Laburista israeliano al governo decise il ritiro dell’Esercito dal Libano. Rimaneva però il supporto al South Lebanon Army, milizia cristiana che presidiava una zona cuscinetto profonda una quindicina di chilometri lungo il confine.
Usciti gli israeliani dal Libano, Damasco, invadendo il Libano, con l’avallo degli altri Paesi Arabi e di parte del governo libanese, impose la “pax siriana”,.
Stavolta le resistenze ai siriani furono inferiori e questi presero il posto degli israeliani a Beirut ovest. Le formazioni armate cristiane erano ostili ai siriani e agli sciiti Amal ed Hezbollah, i drusi rifiutavano ogni accordo per unificare il Paese. Beirut era nel caos, la sua metà cristiana sotto il controllo di Amin Gemayel e Michel Aoun, erano assediata da tutti gli altri, siriani compresi.
A Beirut est rimaneva una enclave controllata dalle Forze libanesi maronite di Geagea (per alcuni un doppiogiochista a favore dei siriani).
Nel settembre 1988 il presidente cristiano Amin Gemayel terminava il suo mandato, ma non fu possibile individuare un suo successore cristiano e gradito ai siriani. Gemayel prima di lasciare la carica, contravvenendo alla consuetudine, nominò Primo Ministro il generale cristiano Michel Aoun. I musulmani rifiutavano di entrare nel nuovo governo ed il precedente Primo Ministro sunnita si dichiarò ancora legittimamente in carica.

Gli accordi di Taif
Nel 1989 dopo anni di feroci attacchi e resistenze i cristiani erano prossimi al tracollo. Con la mediazione dei Paesi Arabi (specie l'Arabia Saudita), fu trovata una soluzione di compromesso per la pace, conosciuta come gli accordi di Taif:
- il potere della componente cristiana in Parlamento sarebbe diminuita dal 55% al 50% (64 seggi, su 128, cristiani: 34 ai maroniti, 14 greco-ortodossi, 8 greco-cattolici, 5 armeni ortodossi, 1 armeno cattolico, 1 evangelico, 1 altre minoranze), i musulmani ottenevano l’altra metà dei seggi (musulmani: 27 sunniti, 27 sciiti, 8 drusi, 2 alauiti ).
- l'autorità del governo, sino a quel momento concentrata nelle mani del solo Presidente cristiano, sarebbe stata ora condivisa con il Primo Ministro, un mussulmano sunnita.
- il Parlamento avrebbe potenziato le proprie capacità di supervisione sul ramo esecutivo, tramite il rafforzamento della posizione dello Speaker del Parlamento, un mussulmano sciita.
- le Milizie sarebbero state sciolte e il ruolo effettivo del governo centrale sull'intero territorio nazionale sarebbe stato completo.
- lo status delle forze siriane presenti in Libano sarebbe stato determinato da accordi tra i due Paesi. Con l'attuazione delle riforme, l'Esercito siriano avrebbe ritirato le proprie forze, presenti su tutta l'area libanese, in enclavi nella zona della Beqaa e nell'area della capitale, (accordo di Taif): i cristiani maroniti, avrebbero rinunciato ad alcune delle loro posizioni di potere a favore dei musulmani.
Il Parlamento nel novembre 1989 elesse presidente René Muawwad (cristiano-maronita), quasi subito assassinato con un'auto-bomba e poi Elias Hrawi che, benvoluto dagli Stati arabi, era rifiutato da Aoun.
Contro Aoun si schierarono le milizie cristiane delle “Forze libanesi” di Geagea e ne seguì l'ennesimo conflitto. Nell'ottobre 1990, con l’aiuto dell’aviazione siriana, le “Forze libanesi” di Geagea, l’Esercito di Damasco e gli sciiti (Amal – Hezbollah) invasero la fortezza di Aoun a Beirut. Il generale si arrese e partì per l’esilio in Francia mentre centinaia di suoi fedeli furono massacrati per rappresaglia ed altri fuggirono via dal Libano, per non tornare più (ancora oggi dei milioni di emigrati libanesi, la schiacciante maggioranza è cristiana). Aoun invece ritornerà, undici giorni dopo il ritiro delle forze siriane.
Beirut era un cumulo di macerie, senza acqua, luce e linee telefoniche.
La Siria aveva il controllo del Libano e con gli accordi denominati Taif 2, si legittimava la presenza dei siriani nel paese dei cedri.

Le prime elezioni
Nell’estate del 1992, si tennero le elezioni parlamentari dopo 20 anni e il partito Hezbollah vinse, ottenendo il maggior numero di seggi. Il sunnita Rafiq Hariri divenne il nuovo Primo Ministro e con l’aiuto saudita, iniziò una faraonica impresa di ricostruzione del Libano.
Nel sud del Libano continuava la guerriglia di Hezbollah contro Israele che rispondeva con sortite aeronavali. Unifil seguitava ad essere uno spettatore. Nel 2000 gli israeliani, dietro la spinta internazionale, si sono ritirati dal Libano e il South Lebanon Army si è dissolto (qualche membro è in Israele, qualcuno all’estero e qualcuno sottoterra).
Tra agosto e settembre del 2000, si è votato di nuovo. La vittoria della coalizione di Hariri era stata accolta da tutti con gioia, poiché l’ex Primo Ministro si faceva promotore di un programma di ricostruzione postbellico. Non ne vedrà mai i frutti: rimarrà ucciso in un attentato ad inizio 2005. Le responsabilità siriane nell’accaduto sembrano forti. I siriani hanno probabilmente fatto pagare ad Hariri i tentennamenti avuti al momento di firmare la nuova costituzione che prolungava la permanenza in carica del Presidente Lahoud, amico di Damasco.
In seguito all’assassinio di Hariri, le massicce proteste popolari, conosciute come “La rivoluzione dei Cedri”, hanno indotto la Siria a ritirare le proprie truppe.
La più importante manifestazione si è tenuta il 14 marzo e questa data è stata assunta per rappresentare la grande coalizione interconfessionale anti-siriana, che vede assieme: Corrente del Futuro guidata dal figlio di Rafic Hariri ; Saad, Partito Socialista Progressista (Druso) guidato da Walid Jumblatt, figlio di Kamal assassinato nel 1977 (probabilmente dai siriani) ; Forze Libanesi del leader cristiano Geagea; i cristiani del Forum di Qurnat Sihwan.
Sei giorni prima, l’8 marzo, c’era stata un’altra grande manifestazione contro la risoluzione Onu n. 1.559 che prevedeva il disarmo delle milizie e pro-Siria, guidata da Hezbollah , Amal e partito nazionale socialista siriano.

La situazione attuale
La situazione politica, tanto per non cambiare, è sempre più complessa, gli attori politici sono gli stessi (per quelli morti ci sono i figli) di 20 anni fa, tutti hanno cambiato, più volte, le loro alleanze.
Attualmente si confrontano una maggioranza al governo ed un’opposizione che, prima della guerra con Israele, era di unità nazionale (tranne per Aoun) ma che ha visto l’uscita dei Ministri di Hezbollah.
La coalizione del leader Fuad Siniora ha un programma politico liberista e riformatore. I suoi rivali guidati da Amal ed Hezbollah, con il sostegno del Presidente Lahoud ex fedelissimo di Aoun e benvoluto dalla Siria, da cui ha ricevuto un’estensione del mandato, vorrebbero un maggior impegno statale, per arginare la disoccupazione al 20% e per far ripartire l’economia. Vorrebbero anche un rimpasto di governo, per poter di nuovo salire nella “stanza dei bottoni”, ma finora hanno ricevuto un sonoro rifiuto da parte di Sinora. In questa ottica vanno visti gli scontri e lo sciopero/serrata voluti dall’opposizione lo scorso gennaio.
Il mondo crede al Primo Ministro laureato in Economia alla Aub (American University of Beirut) e al vertice internazionale di Parigi, ha assicurato circa quattro miliardi di euro, di cui 120 milioni stanziati dall’Italia in aggiunta ai 30 già spesi in aiuti di emergenza.
Un miliardo arriverà dalla Banca mondiale, 1,25 dalla Banca europea d'investimento, 1,1 dall'Arabia Saudita, 846 milioni di euro dagli Stati Uniti, 400 dall'Unione Europea e 500 dalla Francia. Avrà tante cose da fare il Primo Ministro, prima fra tutte ridare la speranza per un futuro migliore ai libanesi.
Su 10 studenti della Aub intervistati, 8 mi hanno detto che avrebbero lasciato il Libano una volta laureati, per la mancanza di prospettive di lavoro. Una ragazza voleva rimanere per continuare ad insegnare all’Università e l’ultima era saudita, sarebbe tornata a casa. Eppure ognuno di loro paga 10.000 euro l’anno per frequentare l’Aub: la migliore Università del Medioriente, frequentata dai rampolli delle famiglie libanesi e da quelli dei ricchi Paesi Arabi. Anche i ragazzi “bene” di Hezbollah frequentano l’Università americana - “vogliono conoscere il nemico” – mi dice qualcuno che vuole rimanere anonimo.
Al centro della politica libanese rimane Hezbollah – il Partito di Dio, un gruppo terroristico per americani, europei ed israeliani, è invece per i libanesi, un partito politico, una forma di resistenza contro l’odiato Israele.
Guai ad associare gli uomini di Hasan Nasrallah ai terroristi, per tutti sono patrioti, gli unici che hanno difeso il sud del Libano quando l’Esercito nazionale e perfino i siriani, si guardavano bene dal metterci piede. Perfino un loro nemico politico - il Premier Siniora - li definisce: una espressione naturale ed onesta del diritto del popolo libanese a liberare la propria terra e difendere il proprio onore contro l’aggressione israeliana.
Gli fa eco il Capo delle Forze Interne Libanesi gen. Ashraf Rifi, ad una mia domanda risponde che, Hezbollah: “non è né un gruppo terroristico, né una milizia illegale, ma una forma di resistenza contro il nemico israeliano ed in base all’accordo di Taif può essere armata”. Tutto questo nonostante la risoluzione 1.559 del settembre del 2004 ha disposto “il ritiro delle truppe straniere dal Libano ed il disarmo delle milizie libanesi e non”. Tuttavia se Hezbollah milizia non è, perché si dovrebbe disarmarla?
Tutto questo ci riporta ad Unifil (Fase 2), missione cuscinetto tra Israele e il sud del Libano, benvoluta da tutti. Israele grazie ai militari Onu non ha più fastidi da Hezbollah ed il “Partito di Dio”, non deve più sopportare le incursioni terrestri, i sorvoli o i bombardamenti aerei delle Forze Armate con la stella di David.

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