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Maggio-Giugno/2007 - Articoli e Inchieste
Ecologia
Gli “ecostressati” di Nagoya
di Eleonora Fedeli

A Nagoya, una città dell’isola di Honshu in Giappone, dal 2000 è stato introdotto un nuovo sistema di raccolta differenziata estremamente complesso e severo, che mira a riciclare tutti i contenitori e gli imballaggi di carta e di plastica. Dalla sua entrata in vigore, ogni famiglia ha iniziato a separare i rifiuti secondo la materia di cui sono fatti; il problema è che, spesso, gli oggetti sono composti da più materie che appartengono a categorie diverse, non sempre facili da individuare. Inoltre, ogni contenitore, prima di essere riciclato, deve essere lavato accuratamente; esistono giorni prestabiliti per la raccolta e una busta apposita da usare per ogni categoria. E, quando si sbaglia la consegna, la busta resta lì, con un’etichetta di monito attaccata. Per evitare che le buste rimangano sulla strada, dei “vigili sanitari” incaricati dal Comune verificano ogni mattina che siano depositate agli angoli adibiti alla raccolta del quartiere. Compito dei vigili è anche quello di correggere eventuali errori nella composizione delle buste, evitando, ad esempio, che le bottiglie di plastica si mescolino con altri tipi di materiali.
Appena introdotto, questo nuovo metodo aveva causato una sorta di delirio generale: i cittadini erano in preda alla tensione e le quattro linee telefoniche istituite per dare informazioni sono state intasate per più di un mese. Gli uffici del Comune erano letteralmente bombardati da denunce, proteste e domande che arrivavano per fax, via Internet e per posta. L’Amministrazione di Nagoya, però, aveva un buon motivo per tenere duro.
Due anni prima il sindaco aveva dichiarato l’”emergenza rifiuti”: mentre la quantità di spazzatura cresceva a vista d’occhio, nella vecchia discarica diminuiva sensibilmente lo spazio per sistemarli. Il progetto per la costruzione di una nuova discarica era andato a monte e, per evitare di danneggiare la zona dove sostano gli uccelli migratori, le autorità avevano proibito la costruzione di isole artificiali nella baia di Nagoya. Non restava altra alternativa, se non il riciclaggio. Quando i cittadini hanno capito la gravità della situazione, le proteste sono velocemente diminuite: si sono abituati alle nuove regole e l’Amministrazione ha cominciato ad essere meno intransigente con i piccoli errori.
Ora Nagoya è una capitale ecologica: se ci è riuscita non è per la volontà di salvaguardare l’ambiente, ma per l’impossibilità di fare altrimenti. Può darsi, dunque, che l’"ecostress" sia una specie di male inevitabile per il bene dell’ambiente. E se pensiamo che un giorno quel dolore finirà, forse riusciremo a sopportarlo meglio.

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