home | noi | pubblicita | abbonamenti | rubriche | mailing list | archivio | link utili | lavora con noi | contatti

Giovedí, 22/10/2020 - 14:56

 
Menu
home
noi
video
pubblicita
abbonamenti
rubriche
mailing list
archivio
link utili
lavora con noi
contatti
Accesso Utente
Login Password
LOGIN>>

REGISTRATI!

Visualizza tutti i commenti   Scrivi il tuo commento   Invia articolo ad un amico   Stampa questo articolo
<<precedente indice successivo>>
Maggio-Giugno/2007 - Articoli e Inchieste
Ssicurezza psicologica
Stare davanti l’aereo
di Marco Cannavicci - Psichiatra-Criminologo

Il mondo aeronautico ci offre
un concetto ed una modalità
per mantenere una buona sicurezza
personale anche nei contesti operativi
più difficili, come quelli
dei teatri umanitari asimmetrici


I contesti umanitari internazionali in cui si ritrovano ad intervenire gli operatori italiani, sia civili che militari, sono definiti dei contesti asimmetrici. L’asimmetria deriva dalla distanza culturale, religiosa, psicologica, relazionale e militare che esiste tra il nostro personale e la popolazione locale. Operare in contesti in cui esistono profonde differenze antropologiche e culturali, oltre che sulla disponibilità di armamenti ed attrezzature tecnologiche militari, molto sofisticate ed evolute da una parte ed inesistenti dall’altra, indebolisce enormemente anche la posizione di maggiore forza tattica e militare da parte del più forte. Le moderne concezioni sulla guerra del futuro depongono sempre di più per una guerra atipica, del quarto tipo, cosiddetta “asimmetrica”, senza cioè schieramenti di Eserciti contrapposti, senza divise, senza ostilità dichiarate, ma con interventi isolati ed improvvisi, che ricordano gli attacchi di tipo terroristico, che vengono condotti in ambienti urbani ed in mezzo alla gente. Le guerre asimmetriche, dicono gli studiosi, tendono ad essere vinte non dal più forte, bensì dal più debole. Così sta accadendo in Iraq, dove gli americani, militarmente più forti, non stanno vincendo. Così è accaduto in Afghanistan negli anni ’80, dove a soccombere sono stati i russi dell’Armata Rossa, nel Vietnam degli anni ’70, con la sconfitta degli americani, e nell’Algeria degli anni ’60, dove a perdere sono stati i francesi. Le guerre asimmetriche hanno quindi la caratteristica che tendono ad essere vinte dal più debole e perse dal più forte. E non solo il più forte tende a soccombere, ma essendo bersagliato da attacchi improvvisi da parte di un nemico invisibile, potenzialmente rappresentato non da un altro uomo in divisa, ma da un nemico atipico, anche lui asimmetrico, senza divisa e senza regole, rappresentato dal contadino, dalla donna, dal bambino, dal finto-ferito, dall’ambulante, dal finto poliziotto. Vivendo e muovendosi in un ambiente ostile, distante ed incomprensibile, anche il più forte dei militari ed il più navigato degli operatori umanitari inizia a provare disagio, paura, insicurezza, innalzando quindi il suo tasso di tensione nervosa e di stress a livelli che “esauriscono” la sua efficacia ed operatività nel giro di poche settimane. Gli addetti ai lavori chiamano questa tensione nervosa, questo stress subdolo e strisciante, “operational fatigue”, e gli studi dimostrano che raggiunge il suo livello massimo già al quarto mese della missione. Se poi gli eventi precipitano ed il militare, o l’operatore umanitario, incappa in un incidente, un attentato, un evento emotivo acuto, questo disagio prende la strada del disturbo dell’adattamento, acuto inizialmente e cronico dopo sei mesi, che facilmente può trasformarsi in disturbo post-traumatico da stress.
Questo disturbo ha una storia che prende l’avvio con la Prima Guerra Mondiale, allorquando il modo nuovo di fare la guerra, con le lunghe attese in trincea e l’introduzione delle armi di massa (le bombe e le mitragliatrici) ha iniziato a generare la “nevrosi da guerra”, descritta inizialmente da Sigmund Freud nei soldati austriaci reduci dal fronte e poi confermata da tutti gli psichiatri militari. Nel giro di un secolo quella nevrosi da guerra ha attraversato tutti gli eventi bellici del XX secolo, giungendo ad una prima classificazione scientifica con i soldati americani, i veterani dal Vietnam, ed una diagnosi definitiva: disturbo post-traumatico da stress.
Recenti studi hanno quantificato nel 30% circa la percentuale di reduci americani dall’Iraq e dall’Afghanistan che si sono dimostrati affetti da questo disturbo e che per tutta la vita dovranno fare i conti con paure, disagi, ansie e depressioni innescati dagli eventi bellici cui hanno partecipato. E sempre questi studi dicono che quanto più il teatro operativo è asimmetrico ed atipico, subdolo e nascosto è il nemico, tanto più forte e probabile sarà la comparsa del disturbo post-traumatico. Quanto più il militare, o l’operatore umanitario, riesce a mantenere un concetto di sicurezza e di padronanza della situazione e degli eventi, tanto più incerta, sfumata ed improbabile sarà la sua comparsa. La prevenzione dunque del disagio, dello stress e del disturbo post-traumatico passa attraverso l’implementazione ed il mantenimento del senso di sicurezza personale.
Come è possibile assicurare e mantenere il senso di sicurezza personale in un contesto asimmetrico e di fronte ad un nemico atipico?
Gli autori internazionali e gli esperti di psicologia militare citano a questo proposito un concetto di sicurezza che è nato e si è sviluppato in campo aeronautico: “situational awareness”. Per Situational Awareness (S. A.) si intende: “il possesso di una chiara e corretta percezione di quanto è accaduto, di quanto sta accadendo e di quanto potrà accadere nell’immediato futuro”. Vale a dire che “le proprie percezioni corrispondono a quanto sta realmente accadendo” e si ha “la capacità di evitare le situazioni inaspettate”.
Nei teatri operativi lo sforzo tecnologico e comunicativo è quello di creare una rete di contatti permanenti tra tutti gli operatori presenti, in modo da realizzare quella S. A. condivisa tra tutti (S. A. Shared) che assicuri ad ognuno le informazioni necessarie per sapere cosa sta accadendo e per guidare le proprie percezioni verso una oggettiva comprensione consapevolezza della realtà.
E’ proprio l’assenza di consapevolezza di cosa sta accadendo a generare disagio, ansia, paura e stress. Ed è proprio l’assenza di consapevolezza di essere sotto attacco, delle proprie vulnerabilità, delle intenzioni ostili di chi non si presenta in modo ostile e dei mezzi offensivi di chi mostra di apparentemente non averne a generare nel militare la condizione di facile preda o dei propri incubi o dell’attacco altrui. Come molte volte le immagini dei vari telegiornali ci hanno mostrato nelle corrispondenze sia dall’Iraq che dall’Afghanistan, nei teatri operativi asimmetrici i soldati muoiono senza nemmeno aver avuto la consapevolezza di essere stati attaccati.
La S. A. si dimostra quindi un buon modo per mantenere la sicurezza e la padronanza della situazione. Come è possibile addestrare il personale alla S. A.? Come è possibile accorgersi che si è persa la S. A.? E come è possibile recuperarla?
Per mantenere la S. A. è necessario che tutte le operazioni che vengono condotte sul territorio siano state pianificate e studiate in un “briefing”, che il personale sia psicologicamente e culturalmente in grado di gestire più fonti di informazioni contemporaneamente, che abbia la capacità cognitiva di ricostruirsi mentalmente un quadro tridimensionale dell’ambiente che lo circonda (la cosiddetta “picture”) e che riesca ad agire in modo non reattivo agli eventi, bensì cercando di anticipare gli eventi (“stare davanti all’aereo”, come si dice nella sicurezza in campo aeronautico).
Allorquando le fonti percettive forniscono dati ambigui, c’è dissonanza tra quanto atteso e quanto osservato, quando si è usciti involontariamente dalla pianificazione, quando l’attenzione è canalizzata verso una sola fonte, non percependo i dati delle altre, quando non si riesce a fornire un punto di situazione e si agisce solo in modo reattivo agli stimoli che si mettono in evidenza, quando accade anche solo uno di questi eventi, questo vuol dire che si è usciti dalla S. A., che si è vulnerabili e che potrebbe accadere un evento avverso spiacevole o letale.
In queste situazioni l’operatore dovrebbe immediatamente riconoscere che non è protetto, che deve rientrare nelle procedure di sicurezza, avendo ben presenti i propri limiti fisici e psicologiche e le proprie capacità reattive ed adattative. In ogni caso deve chiedere supporto, deve aumentare le distanze dalle possibili fonti di minaccia, che la sua priorità in quel momento è la sopravvivenza, che deve prendere tempo prima di agire, per non saturare le sue percezioni e per non compiere ulteriori errori e che deve mantenere integre le sue capacità di critica e di giudizio senza farsi prendere dalla paura, dall’ansia o dal panico.
Per non uscire dalla S. A. l’operatore deve mantenere le sue azioni compatibili con gli standard della missione e dentro le modalità della pianificazione. Deve fare in modo dunque che l’asimmetria della situazione e l’atipicità del nemico non concretizzino un grave pregiudizio per lui.
E’ possibile formare l’A. S. attraverso l’addestramento? Sicuramente si, e con attività che devono essere effettuate in modo parallelo e complementare all’addestramento militare generale ed in modo specifico per la missione umanitaria che deve essere compiuta. Un addestramento di questo tipo deve articolarsi in 4 punti:
1. il linguaggio – è impensabile andare ad operare in un ambiente senza condividerne la lingua, cioè la forma comunicativa più immediata e veloce per interagire e relazionarsi; alle conoscenze linguistiche devono essere associate anche le conoscenze base della comunicazione non verbale che è stata sviluppata in quella popolazione, come ad esempio la gestualità, la mimica e la postura;
2. la conoscenza dell’ambiente operativo – questa conoscenza deve mirare a ridurre la distanza antropologica tra l’operatore, militare o civile, e la popolazione locale; è necessario quindi conoscere i loro concetti religiosi, le loro norme culturali, la situazione economica locale, i fattori sociali dominanti come le loro classi economiche e le loro gerarchie religiose e culturali, conoscere i fattori umani comportamentali maschili e femminili, dell’adulto e del bambino e da tutto questo formarsi un quadro mentale in cui sia possibile valutare le minacce ambientali, religiose e di tipo terroristico che possono presentarsi in modo improvviso ed inaspettato;
3. l’abilità ad interfacciarsi – questa abilità deve ridurre la distanza relazionale e comunicativa esistente con la popolazione locale; è necessario per questo abituarsi e percepire il punto di vista dell’altro, abituarsi a percepire i suoi bisogni, comunicare seguendo le regole della locale comunicazione non verbale (dominante su quella verbale) come ad esempio la mimica, la gestualità e la postura che vengono studiate nella “programmazione neurolinguistica”; in ultimo l’abilità prevalente che deve essere utilizzata per ridurre l’asimmetria della situazione e lo svantaggio che ne deriva per i nostri operatori, è l’abilità ad interagire, dialogare, trattare, prendere accordi e stringere amicizie ed alleanze;
4. gestione dello stato mentale – questa abilità mira a ridurre gli effetti psicologici della situazione asimmetrica sull’operatore umanitario, riducendo quindi gli effetti negativi a breve e lungo termine della tensione nervosa, dello stress e dell’operational fatigue; è necessario quindi sviluppare una adeguata gestione dello stato emotivo in condizioni di stress, una adeguata gestione delle comunicazioni sia con i locali che con i propri colleghi, una gestione dello stress in situazioni di crisi ed infine una adeguata gestione del comportamento, cercando di corrispondere i locali con le loro modalità mimiche, gestuali e posturali.
* Direttore Sezione Psicologia Militare Direzione Generale della Sanità Militare Roma - (cannavicci@iol.it)

<<precedente indice successivo>>
 
<< indietro

Ricerca articoli
search..>>
VAI>>
 
COLLABORATORI
 
 
SIULP
 
SILP
 
SILP
 
SILP
 
SILP
 
 
Cittadino Lex
 
Scrivi il tuo libro: Noi ti pubblichiamo!
 
 
 
 
 

 

 

 

Sito ottimizzato per browser Internet Explorer 4.0 o superiore

chi siamo | contatti | copyright | credits | privacy policy

PoliziaeDemocrazia.it é una pubblicazione di DDE Editrice P.IVA 01989701006 - dati societari