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Maggio-Giugno/2007 - Articoli e Inchieste
Mafie
Un tesoro in ostaggio
di Anna Petrozzi e Lorenzo Baldo

La confisca dei beni delle cosche è un perno
fondamentale della lotta alla criminalità
organizzata, ma in questo campo si registrano
lentezze e ostacoli burocratici che vanificano
l’azione di contrasto. E’ urgente una nuova
legge che, escludendo la vendita, disciplini
e semplifichi l’assegnazione dei beni per fini sociali chiaramente definiti


Riappropriarsi del nostro territorio, quello che le mafie rubano ogni giorno con le loro attività illecite, riprenderselo e convertirlo in un’attività pulita, legale, sana e produttiva rappresenta una delle sfide più forti e concrete al ricatto mafioso.
Sottrarre una bella villa al boss che spadroneggia nella sua zona di competenza e farla diventare una scuola, una palestra o una Caserma è una delle vittorie più significative che lo Stato può mettere a segno. Non solo per il valore in se stesso degli immobili o dei beni mobili di cui rientramo in possesso che comunque raggiunge cifre mirabolanti, ma anche e soprattutto per l’altissima componente simbolica che riveste.
Cosa nostra, ’ndrangheta e Camorra hanno strutturato la propria potenza sul territorio grazie al consenso conquistato con il terrore e la prepotenza. Dimostrare nelle vie, nelle loro città che non sono al di sopra della legge, far vedere alla gente che non sono intoccabili, ma che possono essere arrestati, condannati duramente e privati dell’arroganza delle loro ricchezze sporche significa mimare il loro potere alla base. Attaccare i loro patrimoni, prendere il loro denaro vuol dire prendere anche il loro potere. Questo ha ancora più valenza se avviene con le aziende, con i terreni, quando al lavoro concesso come favore (da restituire) si sostituisce l’impiego offerto come diritto.
Accade infatti che se viene confiscata un’azienda in stato di produttività le burocrazie e le lentezze per la destinazione finiscono per trascinare l’attività in rovina lasciando senza sostentamento il personale. Queste sono inefficienze che lo Stato non può permettersi, sono battaglie perse che potrebbero compromettere la guerra alle mafie. Poiché viene meno la fiducia e i cittadini si lasciano sopraffare dalla paura e dal senso di impotenza.
Infatti benché le forze impegnate nella lotta alla mafia considerino l’aggessione ai patrimoni e in particolare la confisca dei beni come un perno fondamentale del contrasto alla criminalità organizzata si registrano ritardi e contraddizioni intollerabili. Ci possono volere anche più di dieci anni perché per esempio un immobile venga sequestrato, confiscato e poi assegnato a Istituzioni o Associazioni per essere reimpiegato a uso sociale. In tutto questo lasso di tempo case, ville, palazzi, aziende, se non vengono in qualche modo sottoposte a manutenzione o impiego, si deteriorano fino ad essere inutilizzabili. E’ il clamoroso caso di villa Pantelleria a Palermo la cui immagine ben rappresenta lo stato di degrado in cui versa la lotta alla mafia.
A fronte delle centinaia di milioni di euro con cui viene valutato il patrimonio sottratto ai mafiosi sentiamo di continuo i magistrati in prima linea nella lotta alla mafia e non, che lamentano persino la mancanza di carta per fare le fotocopie, o del toner, dei fondi per rifornire le auto blindate, alcuni, per poter svolgere il proprio lavoro hanno anticipato cifre fino a 5.000 euro per il carburante.
Da una parte i politici non fanno altro che parlare del deficit enorme che fiacca il nostro Paese e la nostra economia, dall’altra invece sappiamo che l’ammontare del giro d’affari delle mafie raggiunge il 9,5% del Pil e che gli affari più remunerativi al mondo sono il traffico d’armi e il traffico di droga, cioè le occupazioni principali delle mafie.
Ci vengono alla mente tutti i giovani disoccupati d’Italia, soprattutto al Sud, dove la ricchezza naturale della nostra terra è trascurata e abbandonata nelle mani dei criminali, o tutte quelle famiglie che scappano altrove o che vivono un’intera vita di stenti e miserie. E più in generale i milioni di ragazzi che muoiono a causa della cocaina e delle altre sostanze stupefacenti (i numeri sono agghiaccianti) o i bambini, donne e uomini che periscono vittime delle atrocità della guerra.
Cosa aspetta il nostro governo a livello nazionale, ma anche a livello internazionale a combattere seriamente le mafie? Perché non vengono che destinati pochi, ridicoli esigui mezzi per contrastare il potere mafioso che impedisce lo sviluppo del nostro Paese? Perché la lotta alle mafie non è mai tra i punti più importanti e principali dell’agenda di governo? Cosa aspettiamo?
Esigiamo segni concreti in questo senso a partire dalla legge sui beni confiscati, un testo unico che regoli tutte le disfunzioni e le lungaggini che impediscono questa imprescindibile affermazione di giustizia e legalità come indicato dagli esperti di Libera, guidata da don Luigi Ciotti, esempio vivente di entrambi i valori, sostenuta da pochi politici e sottoscritta da tutte le forze antimafia riunitesi al frante meeting di Contromafie nel novembre scorso.
A seguire abbiamo cercato di ricostruire i passaggi più importanti dell’evoluzione della legge 109/96 che disciplina la materia dei beni confiscati provando ad enucleare i punti controversi e le possibili soluzioni e illustrando i numeri di questo straordinario strumento di contrasto. Senza alcuna pretesa di essere stati pienamente esaustivi data la complessità e la vastità del fenomeno vi preghiamo di porre attenzione seria ai dati e alle problematiche e di sostenere qualsiasi iniziativa proposta da Libera o da organizzazioni che rispettino questi concetti perché è deve essere una battaglia voluta da tutti.
Riprendiamoci il nostro Paese, riprendiamoci l’Italia.

Una storia di uomini
Nata dal sacrificio, attuata grazie al volere consapevole e diffuso dei cittadini la legge 109/96 che disciplina la confisca dei beni mafiosi per restituirli alla collettività è uno dei baluardi della lotta alla mafia.
L’intuizione di colpire Cosa nostra nelle sue immense ricchezze ha origine lontana. Lo disse senza indugi il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa nella sua ultima intervista; ne era convinto Giovanni Falcone che per prima cosa, per ricostruire l’organigramma mafioso, si mise a spulciare centinaia di assegni; ne aveva fatto un cavallo di battaglia il segretario regionale del Pci, Pio La Torre che aveva dedicato gli ultimi mesi della sua vita proprio alla proposta di legge che definisce l’aggressione ai patrimoni mafiosi e che per questo porta il suo nome. Non fece in tempo a vederla approvata tuttavia, perché il nostro Stato, con il suo endemico ritardo nell’azione antimafia, gli rese giustizia solo dopo che anche il generale Dalla Chiesa e sua moglie furono trucidati dalla barbarie del commando corleonese.
Era il 1982, il 30 aprile moriva Pio La Torre, il 3 settembre i coniugi Dalla Chiesa. Con loro il compagno Rosario Di Salvo e l’agente di custodia Domenico Russo.
Sono passati molti anni e tanti altri hanno offerto la loro vita in questa lotta. Solo nel 1996 e su iniziativa dell’associazione Libera, presieduta da don Luigi Ciotti, che raccolse oltre un milione di firme si è dato pieno compimento alla legge. A partire da quella data infatti i beni sequestrati ai mafiosi e poi confiscati in via definitiva possono essere destinati a uso sociale, vale a dire, possono essere restituiti allo Stato o alla società civile organizzata in associazioni per tornare di pubblico servizio alla collettività.
Un risultato inestimabile sotto molti punti di vista. Un progetto straordinario che, con il trascorrere del tempo, si è andato sempre più perfezionando per superare quegli inconvenienti che solo l’esperienza può evidenziare. Per un certo periodo, come in tutta la storia della lotta alla mafia, vi è stata una positiva collaborazione tra politica, magistratura, Forze dell’ordine e forze sociali impegnate in questo delicato lavoro, poi però burocrazie e interventi incoerenti se non proprio controtendenti hanno costituito veri e propri punti di criticità che rischiano di compromettere la piena realizzazione degli obiettivi.
A dieci anni dall’approvazione della legge Libera, sostenuta da altre associazioni e dai pochi personaggi politici e istituzionali che si dedicano seriamente a questo settore, ha chiesto che venga riformata la normativa introducendo modifiche e novità, frutto proprio di tanti anni di servizio sul campo. La palla ora è passata nelle mani del nuovo governo di centro-sinistra.

Problemi e soluzioni
Sono moltissime e di diverso genere le difficoltà incontrate dagli addetti che operano nel settore dei beni confiscati. Da quelle di ordine pratico fino ad arrivare alle carenze legislative e di gestione.
Una buona parte degli immobili confiscati ai mafiosi viene assegnata alle Istituzioni o alle Forze dell’ordine, come per esempio caserme di Polizia oppure organismi locali, altri diventano scuole o palestre, ecc., una buona parte dei terreni invece viene affidata a cooperative di giovani che coltivano la terra rendendola produttiva. I frutti che raccolgono vengono poi commercializzati e sulle etichette compare chiaramente la loro provenienza, proprio a testimoniare l’opera di riscatto sociale e umana di questo progetto. Anche per questo, molto spesso, i campi, i vigneti, i frutteti sono oggetto di danneggiamenti da parte dei picciotti.
Il ragionamento del mafioso, ha spiegato più volte don Luigi Ciotti, è molto semplice: “Perso per perso te lo distruggo così poi ti arrangi”. E’ il caso dei terreni curati dalla cooperativa Placido Rizzotto a Corleone confiscati ai fratelli Brusca che, il 19 luglio dell’anno scorso, giorno in cui ricorreva l’anniversario dell’assassinio del giudice Borsellino e degli uomini della sua scorta, sono stati incendiati. A Latina, invece, sui territori confiscati al noto Sandokan, alla vigilia della vendemmia sono stati tagliati tutti i vigneti con le cesoie: “L’uva marciva sotto la pioggia - ha raccontato don Ciotti in una recente audizione presso la Commissione Parlamentare Antimafia - si è andati a chiedere aiuto nelle scuole e l’indomani oltre mille studenti, insieme con i loro insegnanti, raccoglievano l’uva sotto la pioggia. E’ stato molto bello. Lo stesso è accaduto anche in Puglia, quando, a Mesagne e a Torchiarolo, sui territori della Sacra Corona Unita, sono stati bruciati molti ettari di grano: le scuole sono venute a dare una mano, a mettersi in gioco”.
Il lavoro diretto sui beni mafiosi rappresenta anche una occasione di crescita, di coesione alla legalità che si estende e può coinvolgere la società tutta a partire dai ragazzi. I molti, moltissimi giovani che scelgono di dare alla propria vita un significato diverso schierandosi apertamente dalla parte della legalità e della giustizia affrontano ogni giorno con coraggio la potente sfida al sopruso criminale. Al quale le cooperative hanno risposto aggregandosi e unendo le proprie forze in consorzi che si avvalgono della collaborazione di cinquanta grandi organizzazioni, come Slow Food, Coop e Conapi, che tra le varie finalità mirano a dare un sostegno in qualità di formazione delle professionalità, dalla produzione alla commercializzazione. L’obiettivo è proprio quello di rendere queste cooperative autonome e di portarle al meglio della loro produttività.
Esperienze che potrebbero moltiplicarsi in ogni settore se le procedure di assegnazione dei beni confiscati non si fossero motrate negli anni alquanto farraginose e carente proprio nelle strutture organizzative. Ci vogliono quasi dieci anni perché un bene venga sottratto in maniera definitiva alla proprietà di un boss e restituito alla collettività che in questo modo viene risarcita del maltolto. Chiaramente questa prassi è legata all’iter giudiziario del proprietario che può essere anche molto lungo considerati i biblici tempi in cui opera la nostra macchina giudiziaria. come se non bastasse a volte anche tra la confisca definitiva e l’assegnazione possono passare anni. Ciò significa che case, appartamenti, uffici e terreni possono rimanere in stato di abbandono con il conseguente e logico rischio di deterioramento oppure abusivamente occupati dai familiari del condannato contro la cui arroganza possono intervenire solo le Forze dell’ordine.
Per ovviare alle tente problematiche sorte in seguito alle prime attività era stato istituito un Commissario nazionale che, oltre a rappresentare un punto di riferimento, aveva lo specifico compito di analizzare la situazione generale grazie al contatto continuo con le realtà impegnate direttamente sul territorio e quindi di suggerire al legislatore possibili importanti modifiche o disposizioni risolutive. Il 23 dicembre del 2003, sotto il governo Berlusconi, questo istituto è stato cancellato determinando un vuoto logistico cui non è stata prevista alcuna sostituzione. L’intero lavoro è stato trasferito all’Agenzia centrale del Demanio che, al di là dei buoni sforzi, si è ritrovata per le mani un’incombenza delicatissima sotto tanti punti di vista senza i mezzi e la preparazione necessaria per svolgerla.
Nella relazione di minoranza della Commissione Antimafia che chiudeva forse la peggiore delle legislature in questo ambito si legge con quanta apprensione sia stato denunciato dal mondo delle associazioni questo deficit amministrativo. L’Agenzia “non è stata in grado di reggere un ruolo che non poteva essere interpretato in modo burocratico per la complessità delle sue caratteristiche finendo per costituire più un freno per il successo dei progetti di utilizzo dei beni confiscati che una risorsa”. Allo stesso modo si è lamentata la mancanza di professionalità e competenze specifiche, di strumenti e risorse adeguati, impegnata, com’è l’Agenzia del Demanio, su altri fronti istituzionali e con altri obiettivi.
Alla medesima conclusione è giunta la Corte dei Conti che nella relazione del 12 luglio 2005 elencava le criticità nella gestione dei beni confiscati:
a) difficoltà connesse alla fase giurisdizionale del sequestro e della confisca (es. ritardata trascrizione dei decreti di sequestro e/o confisca e comunicazione tardiva dei decreti definitivi di confisca da parte delle cancellerie);
b) difficoltà relative alla gestione dei beni (beni occupati, fabbricati abusivi, sussistenza di diritti di terzi - quali le ipoteche. Possesso di quote indivise del bene confiscato);
c) le problematiche relative alla fase di utilizzazione dell’immobile confiscato (disinteresse degli amministratori, mancanza di finanziamenti per la ristrutturazione);
d) le problematiche inerenti la gestione delle aziende.
La Corte ha poi rilevato carenze e lacune nella relazione del governo al Parlamento (non corrette classificazioni, incongruenze nella indicazione delle diverse tipologie di destinazione, diffusa incompletezza dei dati, assenza di un’analisi di costi di gestione). Insomma, conclude la nota, nonostante l’impegno dell’Agenzia del Demanio, “i termini procedurali stabiliti dalla normativa di riferimento sono ben lungi dall’essere rispettati, con conseguenti ritardi nell’inizio della concreta utilizzazione a fini sociali dei beni ed il protrarsi nel tempo degli oneri di gestione”.
La causa è anche senza dubbio da ricercarsi nell’insufficienza del personale addetto a questo incarico: solo 60 dipendenti su un totale di 800. Allarmanti anche i dati: i beni confiscati nel 2001 erano 310, nel 2004 solo 10; i beni destinati 2.962 su 6.556, mentre le aziende destinate sono solo 227 su 671, di cui solo 54 ancora attive. Pertanto la Corte auspica che vengano attuati al più presto mirati interventi al fine di eliminare gli ostacoli che non consentono il raggiungimento degli obiettivi principali posti dalla legge: assicurare l’esclusione dal circuito della criminalità organizzata dei beni confiscati in alcuni casi di cospicuo valore e consentire con celerità il godimento di detti beni da parte della collettività.
Il rischio, altissimo, che i beni confiscati rientrino nelle mani dei mafiosi è forse l’elemento di preoccupazione più grave poiché non solo verrebbe meno il valore simbolico della confisca, ma determinerebbe una vera e propria sconfitta dello Stato. Il tema è stato affrontato in Commissione Antimafia durante la medesima audizione di don Ciotti: “A parole, nel 1996, si è detto che questi beni non potevano essere venduti, perché diversamente sarebbero stati comprati proprio dai mafiosi; ma successivamente sono state varate leggi relative alle vittime di reati di mafia, estorsione ed usura che permettono, per reperire i fondi, di vendere beni immobili confiscati. Da una parte abbiamo affermato un principio con fermezza e dall’altra abbiamo creato delle leggi - la n. 512 del 1999 e la 44 del 1999 - che sono state approvate non si sa bene in quale modo, che riguardano temi certamente di grande rispetto (perché le vittime di mafia devono avere grande rispetto) ma con le quali il principio di non porre in vendita i beni confiscati è saltato. In questo ambito, dunque, è estremamente importante, secondo noi, che si faccia chiarezza, ovvero che un testo unico in materia di confisca, diciamo così, rimetta a posto tutta la materia, perché non si dia luogo a schizofrenie e ambiguità”.
Lo sguardo poi va posto non solo all’interno del nostro Paese, ma anche all’estero. Al Parlamento Europeo il presidente di Libera ha prospettato la possibilità di estendere la confisca dei beni a livello europeo. Le nostre mafie - ha spiegato -, ma non solo, comprano ormai in maniera grandiosa. In Romania con 50 euro si compra un ettaro di terra. C’è dunque un’invasione delle nostre mafie che investono denaro anche nel settore agricolo. Dobbiamo preparare ad aiutare molti giovani nei Paesi dell’Est ad aprire cooperative di lavoro in modo che non siano costretti a venire qui; occorre creare condizioni di lavoro e dignità per le persone”.

Una nuova legge
Ancora una volta l’associazione Libera si è resa promotrice di proposte legislative che possono superare molte delle difficoltà fin qui evidenziate e chiedono al governo l’approvazione di un testo unico che disciplini la materia. Impegnato in prima persona in questa battaglia anche il vice presidente della Commissione Parlamentare Antimafia Giuseppe Lumia che ha presentato un disegno di legge delega che tiene conto dei rilievi mossi da Libera così come dalle altre forze coinvolte direttamente nella gestione dei beni confiscati.
Tutti sono concordi nel chiedere la creazione di una Agenzia nazionale per la gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati ad organizzazioni criminali istituita presso la Presidenza del Consiglio con rappresentanti di tutte le Amministrazioni interessate. In sede periferica si propone l’istituzione presso gli uffici territoriali del governo, ad iniziativa del Prefetto, che nell’ambito della confisca e destinazione dei beni svolge un ruolo fondamentale, di un’Agenzia provinciale per la gestione e la destinazione dei beni, presieduta dal Prefetto stesso e composta dal Direttore dell’Agenzia del Demanio, dal Presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale, dal Procuratore distrettuale Antimafia, dal Presidente dell’Ordine dei dottori commercialisti, da un rappresentante dell’associazione Libera.
Il compito dell’Agenzia sarà di: osservazione e analisi in merito ai beni e alle attività sequestrati o confiscati ad organizzazioni criminali, indirizzo in ordine a compendi patrimoniali o aziendali che siano situati sul territorio in diverse province; coordinamento delle Agenzie provinciali e impulso in materia di assegnazione e destinazione dei beni; programmazione su scala nazionale dell’inserimento dei beni confiscati (immobili e aziendali) all’interno delle politiche del sistema degli incentivi e dei piani di sviluppo economico e sociale del Paese, in particolare del Mezzogiorno d’Italia; individuazione e pianificazione delle possibili forme di finanziamento dei progetti su indicazione dei comitati.
Va ripristinato poi il coinvolgimento stretto degli organi preposti all’azione giudiziaria con l’introduzione di alcune importanti correzioni alla normativa vigente: rendere obbligatoria l’azione di prevenzione nei confronti degli indagati per associazione di tipo mafioso; estendere le misure di prevenzione ad altre figure di reato; attribuire al Procuratore nazionale Antimafia ed al Procuratore distrettuale Antimafia il potere di proposta delle misure di prevenzione patrimoniale in prosecuzione anche agli eredi in caso di decesso del soggetto interessato dal provvedimento; poter assoggettare a sequestro e confisca dei beni dei mafiosi individuati successivamente. Nella proposta si prevedono anche: misure specifiche che consentano di gestire con più efficacia i beni confiscati come la ristrutturazione prima dell’assegnazione utilizzando fondi provenienti sempre dalle misure di prevenzione; la continuità operativa delle imprese confiscate e una normativa più puntuale sulle revoche di confisca.
In particolare una nuova legge deve rispettare e affermare alcuni temi centrali che siano veri e propri capisaldi tra cui l’assoluto divieto di vendita; la priorità se non l’esclusività dell’assegnazione e della destinazione sociale dei beni confiscati; una maggiore tutela dei provvedimenti di confisca definitiva individuando tassativamente i casi specifici e i soggetti legittimati a proporre istanza di revisione e stabilendo appropriate garanzie laddove il bene sia già stato assegnato e destinato ad usi sociali; va definita l’ipotesi di consentire lo strumento delle intercettazioni telefoniche per l’individuazione dei patrimoni illeciti; va rivista la previsione delle attribuzioni della Dda soprattutto della Dna in questa materia; deve essere stabilito esplicitamente il principio della obbligatorietà dell’azione di prevenzione antimafia che deve essere estesa a tutti i delitti affini, compresa l’ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa, in modo che possa raggiungere efficacemente la vasta area della contiguità che trae, anche indirettamente profitto dalle attività illecite dell’associazione mafiosa.
Questi alcuni dei principali temi su cui dovrebbe basarsi la nuova normativa che deve integrarsi con tutti i provvedimenti indicati nella richiesta di testo unico contro le mafie sottoscritto e approvato da tutte le associazioni e movimenti che hanno partecipato a Contromafie nel novembre scorso.

La novità
“Con la nuova Finanziaria - ha spiegato il direttore dell’Agenzia del Demanio, Elisabetta Spitz - la platea dei beneficiari cui poter destinare i beni confiscati è stata ampliata. Non saranno solo i Comuni a gestire i beni, ma anche Province, Regioni, Università statali ed Istituzioni culturali. Ma questo non basta ad accelerare i tempi di assegnazione”.
Dei quattromila beni confiscati da assegnare solo 2.000 sono in Sicilia e 1.200 nella sola Palermo. Il Demanio spera di riuscire ad avviare le nuove procedure in circa sei mesi. Che dovrebbero dare il via libera a 280 ben della provincia di Palermo. Tuttavia i problemi non sono pochi. Per esempio più del 50% dei beni confiscati e da destinare sono vincolati da contenziosi penali, civili, amministrativi, tributari, fallimentari.
“Tutto ciò rende il percorso più complesso - ha spiegato il direttore Spitz -. Ecco perché abbiamo deciso di inaugurare un tavolo permanente presso le Prefetture che ci consenta di cedere pacchetti di beni confiscati anche se non sono completamente liberi dai vincoli”. In questo caso i beni possono essere destinati e la questione passa in mano ai Comuni che si devono occupare di sbrigare la burocrazia.
Speriamo che questo sia un piccolo significativo passo avanti sulla strada della modivica e dell’aggiornamento della legge.

[Tratto da Antimafia Duemila
numero 1/2007]

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