home | noi | pubblicita | abbonamenti | rubriche | mailing list | archivio | link utili | lavora con noi | contatti

Giovedí, 22/10/2020 - 14:44

 
Menu
home
noi
video
pubblicita
abbonamenti
rubriche
mailing list
archivio
link utili
lavora con noi
contatti
Accesso Utente
Login Password
LOGIN>>

REGISTRATI!

Visualizza tutti i commenti   Scrivi il tuo commento   Invia articolo ad un amico   Stampa questo articolo
<<precedente indice successivo>>
maggio/2002 - Interviste
BR&C
Il vizio assurdo di chi indaga: a un certo punto, suicidarsi
di Gianni Cirone

Ormai non parlerà più. Una corda al collo è servita. Trenta metri di corda, un’esagerazione, per usarne solo un metro e mezzo. Un metro e mezzo che non basterà per sollevare del tutto quel corpo, alto, robusto, da terra: le gambe rimarranno flesse, sul divano sottostante. Per nulla gonfie.
Aveva detto che era possibile, quel corpo. “Si può risalire all’autore delle 500 e-mail”, aveva detto. Parlava della rivendicazione dell’assassinio di Marco Biagi, spedita per Internet con abnorme generosità. Aveva visto interrompersi la propria relazione da circa tre mesi, quel corpo. La sua ex, da allora, aveva un nuovo partner: un carabiniere.
Michele Landi, 36 anni, alle 22 del 4 aprile scorso viene trovato impiccato. Solo il 5 aprile, alle ore 12.30 le prime agenzie ne danno comunicazione. In estremo ritardo. Super esperto di informatica, responsabile di sicurezza del settore tecnologico della Luiss Managment, è rinvenuto nel suo appartamento, in via Lucera, nel borgo di Montecelio di Guidonia (Rm), dove si è trasferito da circa un anno e mezzo. Prima, ha sempre abitato nel quartiere dell’Eur, a Roma. Nello stesso quartiere dove, qualche anno fa, viene rinvenuto cadavere un altro strano impiccato. Il corpo, legato al collo con la cinta dell’accappatoio, è quasi seduto: è quello del colonnello Ferraro, uomo dei servizi.
Un suicidio, come quello di Landi, il cui cadavere è scoperto dai Carabinieri di Sant’Angelo che, dopo, verranno sostituiti da quelli della Compagnia di Tivoli. Dovranno sfondare la porta con l’ausilio dei Vigili del Fuoco. La segnalazione è di un’intima amica: dopo averlo cercato telefonicamente per tutto il giorno, la donna va a Montecelio, trova la porta chiusa, la luce accesa, (sembra) una finestra aperta. Nessuno risponde, da quella piccola casa a due piani, nel cuore del borgo. Cellulare spento, il telefono di casa che squilla, nel vuoto.
Il 5 aprile stesso, il capitano dei Carabinieri, Giuliano Palozzo, sequestra i computer su cui lavora Landi, due portatili, oltre al computer fisso trovato in casa. Il materiale va al vaglio degli inquirenti. Per capire cosa? Probabilmente per scoprire le operazioni di hackeraggio che Michele Landi effettua a fin di bene. Landi, infatti, è ormai un perito informatico ampiamente utilizzato da diversi organi inquirenti. Si è occupato dell’assassinio D’Antona, ad esempio. Entra in quella vicenda come perito di parte, nominato dalla difesa di Alessandro Geri, il giovane ancora indagato dalla procura di Roma in quanto sospettato di essere stato il telefonista che, il 19 maggio del ’99, rivendica l’attentato di via Salaria con telefonate a due quotidiani. La pista Geri sarà infruttuosa, anche se innescherà aspre polemiche tra Arma e Polizia, perché ritenuta invece una buona pista: ma “bruciata” in grande fretta.
Incaricato da Rosalba Valori, difensore di Geri, Landi partecipa alla consulenza disposta dal pool antiterrorismo della Capitale sul computer e sul contenuto di circa 200 tra cd e floppy disk, sequestrati nell’abitazione dell’indagato. Con due ingegneri nominati dalla procura, Landi procede ad analizzare il materiale sequestrato: deve accertare se ci sono state operazioni informatiche volte a modificare le date contenute in alcuni file. Le indagini, decise dalla procura, intendono verificare l’alibi di Geri che, da parte sua, ha sempre sostenuto che il giorno dell’agguato a D’Antona ha lavorato al computer di casa con una collega. Gli accertamenti, da quanto si sa, non porteranno a risultati da ritenere efficaci per l’inchiesta.
Landi, comunque, è apprezzato per il proprio lavoro. Un esempio? La reazione del colonnello Umberto Rapetto, responsabile del Gat, il Gruppo anticrimine tecnologico della Guardia di Finanza, alla notizia della sua morte. “Non credo - sostiene Rapetto - che una persona come lui possa essersi tolta la vita. Non riesco a credere che si sia suicidato. Oltre a essere uno dei massimi esperti italiani nel campo della sicurezza informatica era un ragazzo eccezionale. Lo conoscevo da dodici anni. Era uno che amava la vita. Un ex paracadutista. Il migliore nel suo campo”. Il colonnello della Gdf dice il vero: ha da poco proposto Landi come coordinatore della task force che è in via di costituzione presso il ministero dell’Innovazione Tecnologica: una struttura la cui creazione è ancora in cantiere e che avrà come compito quello di vigilare sulla sicurezza della Rete Web. Landi, tra l’altro, sta svolgendo un programma di formazione proprio agli uomini del Gat, alla Luiss.
“L’hanno ‘suicidato’ i servizi segreti, come storicamente in Italia sanno fare”. Dopo il dubbio più che esternato del colonnello Rapetto, questo altro giudizio non proviene dal solito dietologo di turno. Sono parole di Lorenzo Matassa, per 10 anni pm a Palermo, da quasi un anno trasferito alla procura di Firenze. “Chi si vuole suicidare - afferma Matassa, che nonostante il recente trasferimento a Firenze, è ancora ‘applicato’ a Palermo per seguire la conclusione di alcuni procedimenti - non ha gioia di vivere e invece, per come lo conosco io, Landi era una persona piena di vita, piena di iniziative. L’ho sentito appena quindici giorni fa, ero a Roma e gli ho telefonato per salutarlo: stava benissimo, non era per nulla turbato, mi ha proposto subito di andare con lui a Guidonia a fare volo a vela, lo sport che amava di più”. I due hanno lavorato assieme, tra il ’95 e il ’97, nella conduzione di accertamenti tecnologici relativi all’inchiesta su una società che ha informatizzato i servizi comunali di Palermo, e in altre analoghe indagini su irregolarità commesse attraverso l’informatica. “Per me - sostiene Matassa - Landi è stato un valido collaboratore, ma anche un amico, e non ho paura di affermare apertamente la mia convinzione: in Italia, il Paese delle stragi impunite, il Paese delle stragi di Stato, l’esperto di computer che stava lavorando, senza incarico ufficiale, alla rivendicazione via Internet dell’omicidio di Marco Biagi, non si è tolto la vita ma è stato ‘suicidato’ dai servizi segreti”.
Il “buco nero Landi”, comunque sia, c’è. L’autopsia viene effettuata il 6 aprile. Risultato: suicidio. Adesso non resta che dichiarare che i suoi archivi informatici non presentano nulla di interessante. È solo questione di tempo. Peccato, però, che a pochi sia venuto in mente che Landi non era un “militarizzato”. Landi non si sentiva tenuto al silenzio ed ha comunicato più di quanto non si presuma. Insomma, chi lo ha accompagnato a casa, nella sua ultima notte terrena, avrà dovuto “cercare” parecchio prima di fargli interrompere le comunicazioni: compresa quella strana, insulsa, ultima e-mail mandata ad un amico, che si preoccupava delle e-mail porno transitanti sul proprio computer. Chi ha detto che sia stata mandata da un Landi vivo e vegeto?

<<precedente indice successivo>>
 
<< indietro

Ricerca articoli
search..>>
VAI>>
 
COLLABORATORI
 
 
SIULP
 
SILP
 
SILP
 
SILP
 
SILP
 
 
Cittadino Lex
 
Scrivi il tuo libro: Noi ti pubblichiamo!
 
 
 
 
 

 

 

 

Sito ottimizzato per browser Internet Explorer 4.0 o superiore

chi siamo | contatti | copyright | credits | privacy policy

PoliziaeDemocrazia.it é una pubblicazione di DDE Editrice P.IVA 01989701006 - dati societari