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Marzo - Aprile/2011 - Laboratorio
http: //www.laboratoriopoliziademocratica.org - http: //www.cives.roma.it - e-mail: laboratoriopoliziademocratica@gmail.com
Vivremo tutti più a lungo Ma in quale modo?
di Francesco Zavattolo - Sergr. Naz. Ficiesse

Vivremo fino a oltre cento anni (almeno così speriamo). Ne parlano tutti e sembra assodato. Troppo pochi però si chiedono “come” passeranno la vecchiaia. Il mondo è cambiato e continuerà a cambiare in fretta. La generazione di lavoratori precedente alla nostra, quella del regime pensionistico retributivo, sta varcando in questi anni la soglia della quiescenza con le sue sicurezze e con passo soddisfatto. Va in pensione ad un’età relativamente giovane, può contare sul mantenimento del tenore di vita raggiunto nel corso della carriera lavorativa e con una “buonuscita” idonea a realizzare qualche sogno di vita (magari non esagerato, ma comunque un sogno) e può dare un sostegno ai figli, contribuendo alle spese per l’acquisto di una casa o per le nozze.
Per i lavoratori della generazione successiva non sarà più così!
Il mancato avvio della previdenza complementare comporterà un assegno di pensione che nella migliore delle ipotesi si aggirerà attorno al 50% dell’ultima retribuzione. Detto ciò, va evidenziato che al di là del “naturale” e grave impoverimento di una larga fascia della popolazione, fatto che comporterà anche una recrudescenza delle tensioni tra classi sociali, l’innalzamento dei limiti di età per l’avvio al pensionamento trasformerà (in parte lo è già) le Amministrazioni dello Stato in strutture fortemente gerontocratiche con inimmaginabili ripercussioni sull’intera società.
Tra qualche anno, tanto per portare un esempio, sulle moto delle Forze di polizia non vedremo più aitanti poliziotti o carabinieri alla Poncharello (ricordate il telefilm “Chip’s”), ma corpulenti 50enni un po’ panzoni, proprio come quelli evocati dal ministro Brunetta, che con grande sforzo fisico cercheranno di prevenire e contrastare il crimine nelle strade. Infatti, allo stato attuale, l’involuzione del sistema previdenziale, laddove non prevedesse espressamente incentivi per restare in servizio fino a una veneranda età, porterà i dipendenti di tutte le Amministrazioni pubbliche a restare al proprio posto finché sarà consentito.
Il punto sta qui: se oggi, con retribuzione piena una famiglia normale arriva con fatica alla fine del mese, come potrà vivere domani con mezzo stipendio? Viene da sé che per sopravvivere sarà indispensabile non avere debiti, come un mutuo per la casa, le rate per l’acquisto di un’autovettura, i finanziamenti per l’acquisto di mobili o, peggio ancora, le rate contratte per dare sostegno economico ad un figlio. Per non dire degli interrogativi sulle prospettive della sanità pubblica. Siamo sicuri che tra venti o trenta anni avremo ancora la malconcia, ma egualitaria, assistenza di oggi? O per un intervento chirurgico ci toccherà ipotecare la casa? E allora: vivere fino a cento anni. Sì, ma come?
Dopo queste poco incoraggianti premesse vediamo chi potrebbe e dovrebbe provare a far qualcosa. Beh, l’organo chiamato ad avviare la previdenza complementare è certamente il governo, ma negli ultimi 15 anni ha avuto evidentemente cose ben più importanti a cui pensare, visto che nonostante l’obbligo di legge nulla, assolutamente nulla è stato avviato. Oggi invece si parla di “lodi Alfano”, impedimenti più o meno legittimi, processi brevi, federalismi, presidenzialismi e di grandi eventi assegnati all’Italia per i quali non possiamo assolutamente fare brutta figura. E c’è anche la “mondezza” nelle strade di grandi città, oltre alle tragedie per i dissesti idrogeografici, alle ricostruzioni post terremoti, ai devastanti effetti della crisi economica globale. Insomma, non c’è stato margine ieri per pensare a quasi tre milioni di dipendenti pubblici, figuriamoci oggi!
Ma i parlamentari, visto che siamo in democrazia e considerati gli scenari tempestosi che gravano sul futuro di così tante famiglie di elettori, potrebbero tornare tra breve sull’argomento? Mah! Le parole del deputato leghista Matteo Bringandì apparse su Il Sole 24 ore del 18 aprile scorso in un pezzo dal titolo “Senza senso fare il deputato” non rincuorano: “Mi dimetto – si legge – perché non ha più senso fare il parlamentare. Le Camere sono state svuotate di ogni loro funzione. Non hanno più alcun potere di iniziativa legislativa e sono state messe nella condizione di fare solo il notaio della volontà del governo. Io non me ne vado dalla Lega, sia ben chiaro, semplicemente non sopporto più questa ipocrisia. Fare il parlamentare adesso come adesso non ha più senso. Non ti danno la possibilità di poter incidere nel processo di formazione delle leggi, anche se fai qualche proposta di legge non viene presa in considerazione. Acquistiamo importanza solo quando dobbiamo schiacciare il bottone per votare quello che ti chiede la coalizione o la forza politica a cui appartieni. Pertanto io mi chiamo fuori da questa situazione e torno a fare l’avvocato”. E più avanti lo stesso quotidiano evidenzia: “Alla Camera diventate legge solo 20 proposte su 3.00 […] a fine ottobre Fini è stato costretto a ‘chiudere’ l’aula di Montecitorio per una settimana perché, in assenza di decreti da convertire, non era possibile esaminare i testi di iniziativa parlamentare per mancanza di copertura”.
Se questo è lo stato dell’arte, per quali disegni di legge si riuscirà a trovare la copertura? In effetti, se ci pensiamo, un conto è il costo di pensioni (d’oro) di poche centinaia di eletti, altro quelle (tra breve miserabili) di milioni di lavoratori. Come dargli torto?
Rimangono i sindacati di Polizia e le rappresentanze militari. Ma anche loro adesso proprio non possono perché sono impegnati in un rinnovo del contratto che porterà a casa, se va bene, 50 o 60 euro. Per non dire del crescente numero di rappresentanti e delegati obbligati a pensare alle loro nuove e gravose attività politiche e umanitarie in sede locale, nazionale e internazionale.
Questo lo stato delle cose che dovrebbe far pensare tanta gente ma sul quale stanno riflettendo pochissimi, quasi nessuno. D’altra parte, per un bel po’ il carrozzone andrà avanti lo stesso. Le tv continueranno a spargere ottimismo a piene mani parlando di veline, cani e gatti; la carta stampata metterà la Roma e l’Inter in prima pagina (ma in trepida attesa del ritorno della “vecchia Signora”); i sindacati lanceranno i soliti anatemi per il rinnovo di contratti da quattro soldi; i delegati Cocer si guarderanno bene (con qualche rara eccezione) dallo stuzzicare il can che dorme, magari per ottenere finalmente, con la riforma della legge del 1978, la tanto agognata rieleggibilità a vita. Mentre noialtri marceremo in allegria verso una pensione da fame.

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