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Giugno - Agosto/2015 - Articoli e Inchieste
Le stragi
Brescia, un iter giudiziario lungo 14 anni
di Fabrizio Condò

Un’odissea giudiziaria con dodici inchieste
e tre processi sulla quale non è ancora scritta
la parola fine


Uno strazio lungo oltre quattro decenni e un’odissea giudiziaria costellata da dodici inchieste e tre processi. E non è ancora finita, anche se il prossimo passaggio in Cassazione potrebbe essere quello finale. Piazza della Loggia è soprattutto questo, una tragedia innescata da una bomba e proseguita nelle aule di Tribunale, tra misteri, silenzi, omissioni, depistaggi, insabbiamenti e mezze verità.
Devono passare 5 anni per giungere all’esito della prima istruttoria: nel 1979 la Corte d’assise di Brescia condanna all’ergastolo Ermanno Buzzi e a dieci anni Angelino Papa, assolvendo gran parte degli estremisti di destra imputati. La sentenza d’appello, tre anni dopo, ribalta il verdetto: tutti assolti. Buzzi non fa in tempo ad ascoltarla: viene strangolato nel 1981 da Pierluigi Concutelli e Mario Tuti nel carcere di Novara. “Un cadavere da assolvere” scrivono i giudici nelle motivazioni. Nel 1984, però, la Cassazione annulla e dispone un nuovo processo a carico di Nando Ferrari, Angelino e Raffaele Papa e Marco De Amici. Un anno più tardi vengono assolti a Venezia nell’appello bis e nel 1987 la Cassazione conferma il verdetto, chiudendo così la prima inchiesta.
Nel frattempo, i giudici di Brescia hanno aperto un secondo filone di indagini, basandosi sulle rivelazioni di alcuni pentiti, tra cui Angelo Izzo, uno dei “mostri del Circeo”. Sotto accusa i neofascisti Cesare Ferri, il fotomodello Alessandro Stepanoff e Sergio Latini, assolti in primo grado nel 1987 per insufficienza di prove e con formula piena in appello due anni dopo. Esito ribadito in Cassazione.
Scorrono i titoli di coda sulla seconda inchiesta, ma nel 1993 si apre il terzo capitolo giudiziario. Bisogna attendere ben 15 anni per la prima udienza del terzo processo: alla sbarra Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte, Pino Rauti, l’ex generale dei Carabinieri Francesco Delfino e Giovanni Maifredi, morto nel 2009: la sua posizione era stata stralciata alcuni mesi prima proprio per motivi di salute. All’epoca dell’attentato Zorzi, Maggi e Tramonte erano membri di Ordine Nuovo, sciolto nel 1973 su ordine del ministro dell’Interno Taviani con l’accusa di “ricostituzione del partito fascista”.
Nel 2010 gli imputati vengono assolti dalla Corte d’Assise di Brescia con formula dubitativa. Revocata la misura cautelare per Zorzi, residente in Giappone. L’accusa aveva chiesto “il concorso in strage” per tutti, ad eccezione di Rauti, per il quale viene chiesta l’assoluzione “per non aver commesso il fatto”, anche se ne viene sottolineata la responsabilità politica e morale della strage.
Due anni dopo Rauti muore e la sentenza viene confermata in appello per gli altri quattro. Le parole del pm, in particolare, sembrano far calare il sipario su piazza della Loggia: “Abbiamo fatto il possibile, è una vicenda che va affidata alla storia”. Invece non è finita affatto. Nel febbraio 2014 la Cassazione ordina un nuovo processo, chiedendo un approfondimento delle posizioni di Maggi e Tramonte. Assolti definitivamente Zorzi e Delfino, deceduto pochi mesi dopo. Il resto è storia recente. Maggi e Tramonte vengono condannati all’ergastolo lo scorso 22 luglio a Milano nell’appello bis. Ora la parola passa nuovamente alla Cassazione.

Lo scrigno si è aperto 41 anni dopo. Non del tutto, ma l’interno sembra più nitido, perché la chiave trovata dal Tribunale di Milano, stavolta, sembra quella giusta, in fondo ad un tunnel interminabile di silenzi e depistaggi, segnato da tre inchieste e dodici processi. ... [continua]

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