Il pacifismo giuridico non è un’utopia e l’idea della pace, che dovrebbe essere la condizione naturale della nostra esistenza, deve affermarsi innanzitutto come “principio”. Pubblichiamo l’Introduzione al nuovo libro del prof. Tommaso Greco “Critica della ragione bellica”, uscito lo scorso 5 settembre nella collana Sagittari Laterza
Quando l’uomo forgia un nuovo concetto, soltanto allora si affranca. L’operazione che fa progredire non è quella consistente nell’immaginare un mondo futuro […] Il mondo futuro si sottrae all’analisi. L’uomo progredisce forgiando un linguaggio per pensare il mondo del suo tempo (Antoine de Saint-Exupéry)
Abbiamo l’abitudine di pensare la pace a partire da presupposti che la negano. La consideriamo un valore importante, essenziale, imprescindibile sia nella vita privata che in quella pubblica – nessuno direbbe mai, oggi, che la pace è un dis-valore, nemmeno coloro che sono diventati paladini della guerra in nome della pace – ma lo facciamo muovendo dalla convinzione che la vera natura dell’uomo sia rappresentata dalla sua tendenza alla guerra, dalla sua naturale propensione a confliggere, a ferire, a distruggere.
Vediamo quindi la pace come qualcosa che non ci appartiene veramente, come una condizione che sostanzialmente nega le nostre inclinazioni più profonde. Proprio per questo, nei nostri giorni sentiamo così spesso affermare che chi parla di pace “fa ideologia”, mentre chi nota la naturalità della guerra non fa altro che prendere atto di una realtà ineludibile.
Una sorta di “inclinazione culturale” ci induce a spiegare ogni cosa con il ricorso a una natura presuntamente aggressiva e istintuale, che secondo una certa tradizione etologica e antropologica porta l’essere umano, come ogni altro animale, a sentire innanzitutto la necessità di difendersi, e quindi eventualmente di aggredire chi potenzialmente può essere per noi fonte di pericolo.
«Poiché la nostra epoca è ricca di problemi, di crisi, in generale di fenomeni negativi e preoccupanti – così scriveva anni fa Nicola Abbagnano – si fa ricorso, per spiegarli, a un istinto determinato, quello di aggressione. La guerra, la criminalità, la concorrenza spietata, le nevrosi, le deviazioni sessuali e tutte le manifestazioni di violenza che abbondano nella società contemporanea sarebbero quindi dovute a questo spirito innato di aggressione che, in quanto innato, non è modificabile e nessuna educazione riesce a sopprimere o imbrigliare».
Insomma, consideriamo gli esseri umani come naturalmente e irresistibilmente portati a fare il male ai loro simili, e su questa convinzione fondiamo…
di Tommaso Greco – Università di Pisa
