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Febbraio-Marzo/2007 - Articoli e Inchieste
Arte
Una Malinconia molto alchemica
di Emilio Belfiore

Albrecht Dürer realizzò Melencolia I nel 1514. In questa opera sono stati individuati (in particolare da Maurizio Calvesi, “La malinconia di Albrecht Dürer”, Einaudi) degli espliciti riferimenti al linguaggio simbolico alchemico: già nel tema enunciato dal titolo, si trovano insieme i principi filosofici dell’Alchimia, e una sorta di autoritratto “ermetico” dell’artista.
Le immagini della malinconia erano diffuse ai tempi di Dürer, ereditate dal tardo Medioevo sotto forma di illustrazioni che raffiguravano questo stato morale, sia come una malattia (nei trattati di medicina), sia come una condizione dello spirito posta astrologicamente sotto il segno di Saturno.
E’ nell’Accademia neo-platonica di Firenze, centro motore dell’ermetismo rinascimentale, che si stabilisce il parallelo – studiato e definito da Marsilio Ficino, e ripreso da Giovanni Pico della Mirandola - fra temperamento malinconico e genio: Dürer conobbe le idee neo-platoniche probabilmente in occasione dei suoi due viaggi in Italia, e con certezza negli scritti del filosofo, cabalista e alchimista tedesco Cornelio Agrippa di Nettesheim.
La “malinconia”, nel linguaggio criptico degli alchimisti, indicava la fase iniziale della Grande Opera, nera (nigredo), “mortuaria”, nella quale la materia prima si autodistrugge in vista di un rinnovamento, e perciò triste e lugubre.
Possiamo immaginare che Dürer identifichi questo passaggio buio e doloroso della “materia prima” (il corpo e la mente) con la condizione dell’artista (gli alchimisti chiamavano Ars Magna la loro dottrina) che cupo medita anelando al proseguimento e al compimento della sua attività creativa. L’artista che si trova in una fase “nera”, “malinconica”, primo e difficile gradino di una scala che deve salire fino al vertice.
L’artista che vuole spiegarsi il mondo agisce “fisicamente” all’interno della materia, e “psichicamente” all’interno di sé stesso, aspira ad innalzarsi fino alla vetta della completa conoscenza, di una “divina comprensione”.
Melencolia, dunque, in quanto prima delle quattro fasi cromatiche dell’Opera: Nigredo (nero), Albedo (bianco), Cauda pavonis (o iride, arcobaleno, tutti i colori), Rubedo (rosso). Nell’incisione vediamo una figura alata, seduta, il capo appoggiato alla mano sinistra, il volto pensieroso, sui capelli un serto vegetale, in grembo un libro chiuso, nella mano destra un compasso, al fianco un mazzo di chiavi.
Il serto indica il futuro coronamento dell’opera: formato di ranuncoli e crescione, piante acquatiche, è anche un simbolo di vitalità lunare, notturna. Le ali indicano la sublimazione, la capacità di volare in alto, ma ora la figura è seduta. Il libro è chiuso, sigillato, a indicare una conoscenza ancora nascosta. Il compasso è, come il cerchio, simbolo della perfezione celeste. Le chiavi (che in un disegno preparatorio sono chiaramente sette) evocano la necessità di aprire delle porte per accedere alla verità.
La ruota di macina è la “rota” che indica il progredire dell’Opera, e anche la triturazione nella fase di “nigredo”. Ai suoi due opposti sono un putto alato, il giovane Ermete, come era raffigurato nelle illustrazioni alchemiche, simbolo del principio mercuriale-femminile, e un cane, simbolo del principio solforoso-maschile. La sfera rappresenta l’Androgino originario, la perfezione tridimensionale. L’arcobaleno preannuncia che la fase finale – rappresentata dalla stella che brilla lontana – giungerà.
Il pipistrello, piccolo dragone notturno, regge il cartiglio con la scritta “Melencolia I”, prima fase dell’Opera. La bilancia serve al dosaggio della materia, la campana annuncerà le fine della “nigredo”, e la clessidra misura il tempo necessario (dalle VIIII alle IIII, sette ore). La scala (quattro pioli visibili e tre seminascosti) appare spesso nelle immagini alchemiche a significare che “ciò che è in alto, è come ciò che è in basso”.
Il quadrato magico (lo sportello del forno alchemico) è un riferimento astrologico a Giove (uno identico è riprodotto in un’incisione celebrativa di Paracelo, medico, alchimista e cabalista tedesco, contemporaneo di Dürer), formato da sedici caselle, con i numeri da 1 a 16 disposti in modo che la somma delle righe orizzontali, verticali, diagonali, dei numeri interni, e di quelli collocati ai quattro angoli, sia sempre 34. E 3+4=7.
Tre sono i principi (mercurio-femminile, zolfo-maschile, e sale filosofale), e quattro le fasi.
Tre è il creatore, e quattro il creato.
Anche le dodici caselle danno 1+6=7.
E Albrecht Dürer nel 1514 aveva 43 anni.

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