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Aprile/2007 - Contributi
Sindacato di serie B
di Massimo Buggea

L’iniziativa unitaria da parte di 7 sigle sindacali su 8, dei lavoratori della Polizia di Stato, in merito alla legge Finanziaria 2007, è un fatto importante che merita una serie di riflessioni.
Dapprima si è avuto un momento di rottura rispetto alle proposte inserite nel progetto della legge in materia di sicurezza con la proclamazione di un momento unitario di protesta. E’ seguita una altrettanto unita presa di posizione che, apprezzando gli impegni assunti dal governo, ha revocato la manifestazione proponendo anche una serie di questioni rilevanti da trattare con urgenza dopo l’approvazione della Finanziaria.
Se questa posizione unitaria è sicuramente apprezzabile, per molti versi presenta anomalie e discontinuità rispetto a quella che viene definita comunemente la “strategia” sindacale. Infatti si è trattato di un’unità positiva, ma solo momentanea, dettata dalle esigenze pressanti del momento. Un atteggiamento di ricerca e sintesi quindi, ma non confermato né tanto meno auspicato da buone pratiche in tempi normali, ovvero quando non vi siano passaggi istituzionali rilevanti che coinvolgono l’intero apparato della sicurezza.
La storia del sindacato, in ogni tempo ed in qualsiasi luogo, suggerisce che la via dell’unitarietà si rivela sempre vincente, anche e soprattutto in quegli ambiti lavorativi - quali la sicurezza - i cui meccanismi e la cui complessità sfuggono generalmente alla conoscenza dettagliata e diffusa da parte dell’opinione pubblica e, sarei tentato di dire, dei cittadini.
Sotto il profilo della conoscenza-diffusione della questione esiste una notevole scarsità di analisi e di progetti nell’ambito della sicurezza intesa come rapporti tra la struttura organizzativa e le esigenze dei cittadini; in parallelo è carente - ovvero troppo ristretto - il dibattito sulle caratteristiche della struttura organizzativa che gestisce quotidianamente la sicurezza.
Eppure ritengo che, proprio per l’interesse generale rappresentato dal bene sicurezza, sarebbe opportuno intercettare la delicatezza delle questioni sul tappeto, preoccupandosi di dar loro una veste organica, sistematica e programmatica.
Penso che una spinta determinante in questo senso potrebbe essere offerta da un atteggiamento sindacale diverso, in particolare nel momento rivendicativo e contrattuale, ma anche nella fase progettuale o di analisi. Potrebbe avere un peso ben più rilevante la presentazione di proposte comuni da parte dei sindacati, pur nella perfetta autonomia dei singoli soggetti.
Molte volte, discutendo di questi argomenti, mi è stata eccepita una critica di “pansindacalismo”; in pratica l’unione annacquerebbe e svilirebbe l’essenza di ogni compagine sindacale, ed il miscuglio formatosi non avrebbe la forza delle singole idee in esso confluite, pur se avesse una forma federativa. A tale proposito continuo a vedere che l’unione su punti qualificanti da rivendicare non rappresenti una debolezza ma, al contrario, sia l’occasione per ogni sindacato di esaltare le risorse peculiari che ne costituiscono l’asse portante.
Non credo che esistano sindacati di serie A o di serie B, né in Polizia né altrove; tutti, rappresentativi o no, rappresentano una ricchezza per contributo di idee, analisi e proposte. Per contro, spero di ingannarmi quando osservo atteggiamenti e prese di posizione in cui si legge una propensione di singole sigle a cercare di conquistare l’egemonia numerica piuttosto che un sincero desiderio di dialogare per individuare punti di intesa con gli altri soggetti.
Tutto questo può apparire come un banale gioco di pensiero: ma se proviamo a prefigurare uno scenario concreto le cose possono assumere una prospettiva diversa. Immaginiamo un tavolo contrattuale dove le forze sindacali parlino con una sola voce, costringendo l’interlocutore a prendere atto di una forza variegata per ispirazione culturale e politica ma coalizzata nel momento della trattativa. Penso che i ragionamenti in questo quadro ipotetico dovrebbero tener conto della presenza di un soggetto unitario; si tratterebbe, a mio modesto parere, del superamento vantaggioso per tutti della logica dei “tavoli separati”.
Ovviamente, riflettendo su questi temi non si può fare a meno di porsi una domanda: quali potrebbero essere gli argomenti accomunanti per sindacati che non fanno mistero delle legittime reciproche differenze?
Non potendo fornire una risposta ragionevole a questo dubbio scelgo di prospettare due temi, diversi tra loro, ma molto sentiti tanto da riverberarsi spesso in modo diretto sull’efficienza del servizio: due temi che, a mio parere, potrebbero tranquillamente far parte della base comune di una vertenza, essendo di interesse generale, e cioè i trasferimenti di sede e le indennità per i servizi esterni, notturni e festivi. Appare evidente come chiunque non si trovi vicino al proprio centro di interessi, familiare o di relazione, renda meno nel lavoro cui è preposto. Questo aspetto è fortemente accentuato in strutture organizzate come le Forze dell’ordine che, per esigenze di stabilità facilmente intuibili, non possono permettersi di allocare di volta in volta le risorse tenendo in conto in via esclusiva le esigenze personali. Un’azione sindacale unitaria, chiara e determinata potrebbe contribuire a risolvere lo spinoso problema dell’incertezza sui tempi e le possibilità del trasferimento, che costituisce fonte di disagio per molti operatori.
Diverso è invece l’aspetto legato al compenso per il servizio esterno, notturno o festivo: in altri contesti lavorativi tale impiego gode di ben altra considerazione. Per evitare inutili diatribe preciso che non esistono tipologie di lavoro assimilabili al settore sicurezza e che si dovrebbe mutuare un metodo, non andare a creare impensabili ed arditi paragoni né graduatorie di rischio sprovviste di senso. Premesso che non può esistere un compenso che equivale a certi tipi di disagio fisico, mentale e nella vita di relazione, una differenziazione tra chi svolge il lavoro all’interno e chi si trova fuori risulta opportuna almeno sul piano dell’equità retributiva. La tendenza degli ultimi anni va in senso opposto, appiattendo paurosamente le retribuzioni tanto che vi è una sostanziale parità tra tutte le tipologie di servizio; l’iniziale differenziazione creata a suo tempo con l’introduzione del compenso per “servizio esterno” e gli aggiornamenti delle indennità notturne e festive non appaiono in grado di colmare il divario; lo stesso vale per i vari fondi incentivanti, collegati sempre al criterio quantitativo delle presenze al lavoro.
Si tratta di due questioni senza dubbio marginali, se si confrontano con le grandi tematiche della sicurezza; ciò nonostante, essendo connesse all’organizzazione della struttura, possono influire sui comportamenti dei singoli a vari livelli. Resta in ogni caso, nella realtà quotidiana, la percezione di una frammentazione sindacale che - se lo volesse - potrebbe ritrovarsi nella sintesi e forse ampliare i propri orizzonti, pur salvaguardando nel reciproco rispetto l’autonomia e l’identità di ogni soggetto.

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