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Aprile/2007 - Laboratorio
Una politica (vera) per i disoccupati
di Partito della Rifondazione Comunista Circolo A. Argada - Lamezia Terme

“L’indispensabile offensiva contro la disoccupazione richiede un enorme sforzo di creazione di impiego pubblico e privato, che vada oltre l’istituzione delle ‘zone franche urbane’ (Zuf) che hanno assicurato più aumento degli esoneri fiscali per le imprese interessate, che delle assunzioni dei giovani residenti”. Con queste parole, Dominique Vidal, noto scrittore e capo redattore di Monde Diplomatique, chiudeva un suo recente articolo sulle banlieues, zone urbane degradate francesi. Come si vede un giudizio non troppo esaltante sulla esperienza oramai decennale delle zone franche in quel Paese. Le prime zone franche urbane risalgono infatti al 1997. E’ inutile ricordare che l’esperienza francese riguarda aree di una nazione che a differenza delle nostre non subiscono la massiccia presenza sul territorio di poteri criminali e sono parte di un Paese famoso nel mondo per l’efficienza del suo apparato burocratico e della sua macchina amministrativa. Del resto lo stesso governo Prodi, con molta prudenza, indica un periodo di sperimentazione delle zone franche urbane mentre il viceministro Visco in una recente visita in Calabria ha dichiarato a proposito della creazione di zone franche: “Penso che questo non sia un fatto positivo, soprattutto quando si parla di zone ad alto indice di criminalità. Bisogna stare un po’ attenti anche solo ad immaginare certe cose”.
Come si vede, una visione improntata alla cautela e completamente differente dalle certezze profuse a piene mani in questi giorni nella nostra città che, ricordano, le stesse sicurezze e le stesse esaltazioni sbandierate per strumenti (la 488, i patti territoriali, il prestito d’onore, i contratti d’area, ecc.) che non hanno affatto modificato in meglio gli indicatori economici e sociali di questa Regione che ha continuato a subire una regressione economica e sociale che la pone ancora agli ultimi posti per reddito, occupazione e vivibilità. Un tema, questo del fiume di finanziamenti a favore dell’impresa, frutto della tanto esaltata concertazione, elargiti senza nessun controllo e sui quali spesso, troppo spesso, si tace in nome di un ecumenismo che fa dimenticare le tante prime pietre inaugurate e alle quali non è seguito un solo posto di lavoro, i tanti impianti industriali creati che sono rimasti vuoti contenitori sui quali qualcuno si è illegalmente arricchito e qualcun altro ha fatto le proprie fortune elettorali. Un ecumenismo che come in tante altre occasioni rischia di creare facili illusioni tra i tanti soggetti svantaggiati che popolano questa regione e questa città costretti ad assistere impotenti al furto di centinaia e centinaia di milioni di euro che avrebbero dovuto creare lavoro e che hanno invece fatto la fortuna di pochi speculatori.
Eppure, mentre si invoca, tutti in perfetta sintonia, la creazione della tanto agognata zona franca urbana, nessuno chiede conto dei finanziamenti pubblici elargiti o in via di elargizione alle imprese che vengono sbandierate come frutto dell’efficacia delle politiche pianificate in questi anni dimenticando volutamente e colpevolmente che il metro di valutazione dell’efficacia di queste politiche dovrebbe essere costituito da ben altri indicatori a partire dal rispetto rigoroso degli impegni assunti dalle imprese nella creazione di lavoro stabile e sicuro.
Dove sono i 699 nuovi occupati che dovevano creare il Patto territoriale? E i finanziamenti erogati che fine hanno fatto? E i posti di lavoro che dovevano essere creati dai contratti d’area, dalla 488, la 215, ecc. ecc.? E quelli del prestito d’onore? Qualcuno li spacciò, ricordate, come lo strumento che avrebbe trasformato i calabresi in tanti piccoli ricchi imprenditori. In questi giorni c’è chi invoca un apposito comando della Guardia di Finanza per controllare la futura zona franca dimenticando che la GdF ha svolto già un eccellente lavoro in questo campo e che la stessa cosa non si può dire dei tanti responsabili politici che dovevano attraverso gli uffici competenti procedere al controllo e alla revoca dei finanziamenti erogati a quelle imprese che non hanno rispettato gli impegni assunti. Perché i tanti parlamentari di questa Provincia non chiedono con forza, come hanno fatto alcuni parlamentari di Rifondazione Comunista, che i Ministeri competenti forniscano i dati sugli aiuti economici pubblici erogati alle imprese che hanno chiesto finanziamenti per insediamenti nel lametino negli ultimi 10/15 anni e se, gli stessi Ministeri, hanno provveduto alla revoca ed al recupero di somme erogate ai soggetti che non hanno rispettato gli obblighi assunti? Perché un’azione politica in questa direzione non è ritenuta utile per il bene di questa città e dei suoi abitanti più deboli? Perché per lungo tempo si è fatto finta di non vedere il colossale furto di risorse pubbliche perpetrato da falsi imprenditori delegando il controllo solo alla Guardia di Finanza come se il rispetto della legalità non riguardasse i politici che ricoprivano prestigiosi incarichi? O, forse, si ha paura che la richiesta di più controlli, maggiore fermezza e verità sulle erogazioni di danaro pubblico può scontentare le tante “imprese” amiche e “scoperchiate” il santuario delle complicità politiche e delle pratiche clientelari che hanno favorito, foraggiato, coperto le grandi truffe commesse ai danni dei calabresi?
Per decenni si è demandato tutto alle forze del “mercato” e ad una fasulla classe imprenditoriale, che ha penalizzato le imprese sane di questa Regione rese sempre più marginali e strutturalmente esposte alla concorrenza dei paesi a basso costo di lavoro. Un sistema, dunque, strutturalmente incapace di produrre una domanda di lavoro adeguata alle possibilità e alle necessità della Regione, sul piano quantitativo e qualitativo.
Siamo stati “intossicati” dall’assunto “meno Stato più mercato” che in realtà ha significato meno interventi per i ceti deboli e per i servizi alla persona e ha permesso al cosiddetto “mercato”, anche quello colluso con i poteri criminali, di non rischiare di suo e di attingere a piene mani dalle casse dello Stato.
Ecco perché, è necessaria una reale e concreta politica per l’occupazione che passi attraverso un modello di sviluppo alternativo alle fallimentari ricette fin qui sostenute, capace di generare un circuito virtuoso in grado di realizzare lavoro stabile e qualificato e condizioni di vita migliori per tutti. Sono altre le ricette, in un territorio fortemente pervaso dalla criminalità organizzata, per la creazione di posti di lavoro qualificato e stabile che, in una realtà come la nostra dovrebbe rappresentare una priorità per le Istituzioni, i partiti politici, i sindacati. E’ alla luce di questo fallimento, conseguenza della rinuncia a qualsiasi politica di programmazione dello sviluppo e alla crescente demonizzazione delle politiche e degli investimenti pubblici, che necessitano ricette alternative capaci di rimettere in campo un intervento pubblico in grado di riprendere il grande tema del risanamento idrogeologico del territorio, del recupero del patrimonio storico, architettonico ed ambientale di intere comunità, di investimenti eco compatibili per lo sviluppo turistico, della riqualificazione, nel senso della specializzazione e della valorizzazione delle produzioni locali, dell’agricoltura, del potenziamento delle risorse ambientali, sia sotto il profilo della loro valorizzazione che della loro conservazione.

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