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Novembre-Dicembre/2007 - Articoli e Inchieste
Immigrati
Ma la sicurezza non ha colore di parte
di Leandro Abeille

Il problema degli atti criminosi commessi
da stranieri deve essere affrontato
con decisione, tenendo conto
di una realtà della quale molti sono
responsabili. Anche nell’interesse
degli stessi immigrati


Ovviamente non tutti gli immigrati sono dei criminali. Ma, tenuto conto della differenza di popolazione rispetto agli italiani, la maggior parte dei criminali sono stranieri. Non è razzismo, è statistica. La statistica è basata sulla matematica ed i numeri non conoscono il politically correct.
La popolazione straniera residente in Italia al 1° gennaio 2007, è di 2.938.922 persone (Fonte: www.istat.it) mentre i clandestini si aggirano intorno al 1.500.000, un totale di circa 4.500.000 persone. Gli italiani sono circa 57.000.000 cioè 12,5 volte in più degli stranieri.
Analizzando i dati degli ingressi in carcere (riferiti al primo semestre 2007 – fonte Dap su www.giustizia.it) si scopre che gli italiani che hanno visto spalancarsi le porte degli istituti di custodia e pena sono 23.922 (22.316 uomini e 1.606 donne) mentre gli stranieri sono stati 21.888 (19.911 uomini e 1.977 donne). Un numero quasi uguale, 23.922 italiani a fronte di 21.888 stranieri, se non fosse che gli stranieri sono 12,5 volte meno numerosi degli italiani. I reati ascritti agli stranieri sono solo per l’1,1 %, riferibili all’immigrazione clandestina (Dap - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato - sezione statistica - dati riferiti al 30 giugno 2007 su www.giustizia.it), la gran parte (più del 70%) sono reati riguardanti la droga, le armi, i reati contro il patrimonio e la persona; i reati che creano allarme sociale e bisogno di sicurezza.
Sempre seguendo le statistiche, si può affermare che delinque (e perciò entra in carcere), un italiano su 2.375, mentre, delinque (e perciò entra in carcere) uno straniero su 205. Comparando i dati, si scopre che gli stranieri avrebbero una propensione alla delinquenza 11 volte superiore rispetto agli italiani.

Perché così tanta criminalità?
C’è da considerare che lo stereotipo del povero straniero, difeso da un giovane avvocato d’ufficio, viene spedito in carcere mentre gli italiani, meglio tutelati, riescono a scamparla, è assolutamente falso. Gli italiani che commettono reati sono spesso persone non troppo benestanti, poco scolarizzate (solo il 7% ha un titolo di studio superiore alla licenza media), provenienti da famiglie non certo abbienti anche se, spesso, hanno un lavoro (quasi il 50% della popolazione carceraria ha un lavoro). Rimangono tuttavia dei “poveracci”, che siano italiani o stranieri non fa differenza, la tutela legale che ricevono è identica.
I crimini dei “colletti bianchi”, i furbetti del quartierino, i magnati della finanza, i politici, hanno migliori possibilità di difesa, ma i reati che commettono pur avendo grande rilevanza mediatica, sono di “nicchia”.
Sul perché ci siano persone (italiani e stranieri) in carcere è dunque assiomatico: delinquono. Sul perché delinquono, senza disturbare i mostri sacri della criminologia, si può elaborare una teoria, tanto semplice quanto evidente: delinquono, essenzialmente, per vivere meglio.
Gli stranieri che delinquono di più non sono “geneticamente” criminali ma, rispetto agli italiani e ad altri stranieri meglio integrati nel tessuto economico-sociale nazionale, sono più svantaggiati. Alcune persone hanno un lavoro insoddisfacente, o spesso non ce l’hanno proprio; ad ogni modo, le loro entrate economiche non bastano per soddisfare i loro bisogni. Non si lavora solo per il cibo ed i vestiti, non si commettono crimini solo per fame. Si commetto crimini per aumentare il proprio benessere, per l’ultimo tipo di cellulare, per abiti alla moda, per il conto del ristorante. Questi bisogni, “voluttuari”, sono diventati indispensabili. Il metodo per soddisfarli dipende dalle condizioni sociali, economiche e culturali.
I criminali italiani, delinquono soprattutto nelle regioni di appartenenza, lo fanno per varie ragioni ma sostanzialmente si muovono in una cornice territoriale a loro familiare, hanno aspettative e possibilità in un mondo a cui appartengono ed a cui si sentono legati. Sono portatori di valori che tutti riconoscono, in un ambiente che non percepiscono come ostile e questo ambiente a volte li aiuta a non scegliere la via del crimine.
Gli stranieri non hanno questa possibilità, loro arrivano in un ambiente ostile, lontano dai loro valori e dalla loro cultura. Il mondo del lavoro è per loro meno accessibile e meno garantito, per le colpe del sistema, per il semplice fatto di essere spesso poco informati sui loro diritti in Italia, e quasi sempre per colpa nostra. Le nostre case sono state costruite anche da operai clandestini, sottopagati e non tutelati. Non solo gli imprenditori lucrano sui lavoratori stranieri clandestini (spesso lucrano anche sugli italiani), lo fa chiunque. Nessuno per riverniciare una stanza si rivolgerebbe mai ad una regolare ditta edile, tutti tramite conoscenze arrivano al muratore straniero pagato a “giornata” dai 30 ai 50 euro, senza fattura, senza assicurazione, senza regole.
Quando si sostiene che in Italia abbiamo bisogno degli immigrati per aumentare la nostra crescita nazionale o per fare lavori che gli italiani non fanno più, dovremmo riflettere e arrabbiarci: abbiamo bisogno degli immigrati per sfruttarli e far arricchire chi li sfrutta. Se tutti seguissero le regole, avremmo un bisogno molto minore della manodopera straniera.

Crimine etnico
Molti stranieri delinquono per sopravvivere perché quando sono costretti a dormire nelle baracche sotto i ponti, magari da clandestini, senza un lavoro ed un’istruzione, farebbero di tutto, e qui in Italia, non c’è nessuno, né famiglia, né amici, che li può aiutare economicamente, come potrebbe succedere ad un italiano.
Molti stranieri delinquono per lavoro, è il caso dei vù cumprà che vendono merce contraffatta, o anche delle prostitute (anche se non è un reato). Alcuni stranieri delinquono perché è meglio che lavorare. Altri delinquono perché è un must culturale.
Ogni etnia è legata ad un tipo di lavoro regolare, ma anche, ad un tipo di reato in particolare. Così rarissimamente si vedranno degli africani (sub-sahariani) in un cantiere edile, invece si noterà una concentrazione di romeni ed albanesi. I primi, se delinquenti, preferiscono lo spaccio di sostanze stupefacenti e il commercio di beni contraffatti, i romeni invece i delitti contro il patrimonio mentre gli albanesi le rapine e lo sfruttamento della prostituzione. I magrebini sono invece come gli italiani: fanno un poco di tutto, sia nel lavoro sia nel crimine.
Non si vuole certo dire che tutti gli stranieri hanno una propensione al crimine maggiore degli italiani, molti, la maggioranza, rigano decisamente dritto: i filippini, quasi tutti impiegati regolarmente e i pakistani, impiegati perlopiù in agricoltura (eccezion fatta per sparuti gruppi-fondamentalisti e terroristi), sono esempi positivi. Gli indiani, mercanti e agricoltori, non preoccupano le Forze dell’ordine, mentre alcuni centro-sud americani qualche grattacapo, soprattutto negli affari di droga e nei borseggi, lo danno. I cinesi si dedicano al commercio e alle imprese manifatturiere ma impensieriscono più gli ispettori del lavoro che le Forze di polizia in lotta con le triadi.
Un discorso a parte lo meritano gli zingari (i rom sono solo un’etnia anche se la più numerosa), che hanno nazionalità diverse pur essendo lo stesso popolo. Una volta nomadi, adesso sono perlopiù stanziali, sono radicati in vari Paesi dalla Romania, alla Macedonia. Non è affatto raro trovare degli zingari con il passaporto italiano (il 60% dei nomadi presenti in Italia). Quello che è raro è invece trovare uno zingaro non italiano con un lavoro regolare. In campo delinquenziale, la loro “specialità” è il furto, in particolare di metalli, come il rame, che una volta lavoravano e ora rivendono a ricettatori, italiani questi. I reati perpetrati dagli zingari sono reati di una cultura divenuta nel corso dei decenni “predatoria” (per qualcuno a causa delle persecuzioni che hanno esaltato lo spirito d’appartenenza) dettata dalle regole del clan che accetta il “rischio carcere” come se fosse “un infortunio sul lavoro”. Gli zingari sono portatori di una cultura meravigliosa, fatta di antiche ballate, opere d’artigianato, giostre e poesie, ma paragonare alcuni degli attuali rom alla loro vecchia cultura, sarebbe come paragonare Giuseppe Tomasi di Lampedusa a Totò Riina.

Verso il baratro
In conclusione troppi stranieri non integrati, sono un pericolo, e per capirlo il governo di centro-sinistra ha aspettato la morte di un signora a Roma, nella zona di Tor di Quinto, “vendicata” da un’aggressione a dei romeni che stavano bevendo birra in un parcheggio di un supermercato a Tor bella Monaca.
Azioni improntate a una stupida violenza, non condivisa. Ma è vero che la gente si sente insicura. Non è razzismo, è intolleranza: il non farcela più a convivere con persone che vivono ai margini, in una specie di far-west che appare sempre più pericoloso.
Non è solo l’atto criminale doloso a creare preoccupazione ma il clima di pericolo che si è creato in alcune zone d’Italia già problematiche. I pirati della strada, ad esempio, non hanno bandiera, ma gli stranieri, soprattutto ubriachi, sono responsabili di quasi un quarto degli incidenti stradali gravi (dato dell’Asaps - Associazione Amici della Polizia Stradale). Qualche anno fa proprio a Tor bella Monaca un albanese alla guida della sua auto completamente ubriaco, aveva investito e ucciso un bambino.
In un clima di paura, con le Forze di polizia da tempo abbattute da finanziarie vergognose, senza mezzi, con poca benzina, con divise ed equipaggiamenti allo stremo, con agenti “impantanati” a difendere le case dei politici, con commissariati sotto sfratto per morosità, vi è il rischio che diventerà “normale” che qualcuno pensi a farsi giustizia da solo. I politici nostrani dovrebbero capire tutte le motivazioni che poi danno luogo a queste aggressioni, e prevenirle, perché non accadano mai più.

La sicurezza
Parlare di sicurezza fino ad oggi è stato appannaggio della destra e i politici dell’altra parte non volevano imitare gli stessi slogan. Il problema è che la sicurezza dei cittadini non è né di destra, né di centro, né di sinistra ma è un bisogno di tutti noi. E’ un sacrosanto “diritto umano” sancito all’art.3 della dichiarazione universale dell’Onu del 1948 in cui si specifica che “ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”.
Sui problemi della sicurezza non dovrebbero entrare le divisioni politiche; tra gli immigrati si registra una percentuale di comportamenti criminosi molto più alta che tra gli italiani, lo dicono i numeri ed i numeri non sono xenofobi. Porre un freno all’immigrazione incontrollata, extra o comunitaria, che non trova una collocazione lavorativa immediata, è un obbligo morale sia nei confronti degli italiani che richiedono sicurezza, sia nei confronti degli stranieri che richiedono una vita migliore, e che a causa delle nostre condizioni economiche e strutturali, ricevono solo bidonville e sbocchi nel mercato del crimine. Quando non restano anche loro vittime della strada, travolti da auto che sfrecciano in strade periferiche e buie, magari in zone industriali, e non si accorgono di un pedone che esce dal ciglio della strada per rientrare nella sua baracca.
Meglio lasciare da parte le divisioni demagogiche, con il buonismo ipocrita del “facciamoli entrare tutti”, con il ricordo di quando tanti immigrati erano italiani: quelle persone partivano verso l’America seguendo delle norme ben precise dettate dal governo Usa che stabiliva di anno in anno le entrate, viaggiavano su navi di linea, scortati da funzionari d’ambasciata e Carabinieri. Qualcosa di ben diverso rispetto agli sbarchi lampedusani.
Bloccare l’immigrazione selvaggia non è criminale: è criminale lasciare i cittadini italiani o stranieri nella povertà e nell’insicurezza.

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