Crisi economica, non per le organizzazioni criminali. L’ex magistrato: «con la pandemia, si aprono nuove opportunità ai mafiosi»

In Italia il settore agroalimentare rappresenta circa il 17% del PIL nazionale; se poi aggiungiamo la ristorazione arriviamo al 25%. Secondo i vostri studi, le organizzazioni criminali hanno attaccato ogni settore: la produzione, la trasformazione, il trasporto, la commercializzazione e la vendita al pubblico. Per farlo utilizzano i loro patrimoni di provenienza illecita. Si conferma sempre più valida la lezione di Giovanni Falcone: le piste da seguire sono sempre legate al denaro e ai suoi possibili percorsi ed impieghi. Quali aggiornamenti legislativi suggerirebbe oggi? Quanto l’integrazione dei mercati ha reso necessario un aggiornamento legislativo?

Giovanni Falcone, il fuoriclasse dell’antimafia, parlava sempre a ragion veduta, non tanto per dire. Il suo insegnamento vale ancora oggi. Ma occorre tener conto che la mafia è cambiata. La nuova mafia agisce su livelli più sofisticati rispetto al passato (con il quale per altro mantiene intrecci stabili e profondi). Le piste da seguire sono sempre legate al denaro, ok, ma occorre tener d’occhio i collegamenti internazionali, le centrali off shore, l’espansione del mercato delle criptovalute e delle monete elettroniche, le nuove tecnologie nel settore finanziario, la blockchain, la high frequency trading, l’import-export, i fondi di investimento internazionali.
Quanto all’aggiornamento legislativo, occorre partire dal dato di fatto che le mafie si caratterizzano per la capacità di evolversi e mimetizzarsi. Al punto che qualcuno arriva a chiedersi se si possa usare la parola mafia per definire quelli che sono “comitati d’affari”, costituiti da soggetti che non uccidono ma fanno “semplicemente” affari illeciti. Ad esempio, Il 14 maggio 2020 il quotidiano “Il riformista” (su posizioni dichiaratamente ipergarantiste) con riferimento all’operazione “Mani in pasta”, che ha portato a 91 arresti tra Palermo e Milano, ha titolato con caratteri cubitali a tutta prima pagina: “Se la mafia non uccide (ma compra) è ancora mafia?”. Ora, più che stabilire se l’interrogativo sia “semplicemente” spregiudicato o d’altra natura, interessa ricordare che perfino per le imprese di malavitosi del calibro del “cecato” Carminati e soci vi sono state oscillazioni giurisprudenziali da otto volante proprio sulla configurabilità o meno della fattispecie “mafia”.
Il problema dunque è non restare spiazzati dall’evolversi della mafia, ponendosi il problema se il 416 bis, datato 1982 ma tuttora insostituibile nel suo efficacissimo impianto di base, non meriti una verifica di adeguatezza al “camaleontismo” mafioso. Nella giurisprudenza troviamo alcuni spunti. In particolare una sentenza della Cassazione (n. 15412/15 del 23.2/14.4 2015 – processo “Minotauro” sulla ’ndrangheta insediata in Piemonte), dove si parla di “mafia silente” come mafia a tutti gli effetti. Precisando che non si tratta di una «associazione aliena dal cosiddetto metodo mafioso o solo potenzialmente disposta a farvi ricorso; si tratta invece di un sodalizio che tale metodo adopera appunto in forma silente, senza ricorrere a forme eclatanti, avvalendosi di quella forma di intimidazione – per certi aspetti ancora più temibile – che deriva dal non detto, dall’accennato, dal sussurrato, dall’evocazione di una potenza criminale cui si ritenga vano resistere». Precisando poi che «la capacità di intimidazione della casa madre è ben presente nella memoria collettiva di tutta la comunità nazionale oltre che di quella locale».

Lorenzo Baldarelli