Una parte importante della società iraniana prende le distanze dal regime, con proteste nel mondo dello sport e dei social network

Saeid Mollaei e Sagi Muki: due campioni di judo a livello mondiale, due gentlemen del tatami. La foto che li ritrae assieme, abbracciati, scattata durante l’ultima edizione dei Judo World Master in China nel 2019, è tutto fuorché banale. Perché per l’iraniano Mollaei sarebbe assolutamente proibito anche solo gareggiare contro gli atleti dello stato ebraico come Muki. Mostrare atteggiamento di rispetto e di amicizia verso un avversario israeliano è assolutamente inconcepibile per il regime teocratico di Teheran, ma è esattamente ciò che è accaduto. Mollaei, che avrebbe dovuto affrontare sul tatami Muki lo scorso anno nei quarti di finale, aveva obbedito alle ingiunzioni del suo allenatore, rifiutandosi di gareggiare e abbandonando la competizionee, conessa, il suotitolo. Tempo dopo, in un coraggioso atto di sfida, stufo per l’interferenza di questioni politiche in gare sportive, Mollaei aveva chiesto asilo politico in Germania. L’Iran successivamente è stato bandito dalle competizioni internazionali di Judo per aver proibito ai propri atleti di gareggiare contro avversari israeliani. Alla fine dell’ultima edizione dei Campionati Mondiali di Judo, Mollaei si era congratulato su Twitter con l’israeliano per la sua vittoria e, da allora, i due atleti hanno cominciato un rapporto di stima e di amicizia reciproci. Per una nazione, la cui leadership politica e religiosa, appare ossessionata dall’odio verso Israele, questa vicenda umana, riportata dal sito ebraico Aish.com, mostra che, dietro la facciata di nazione compatta e coesa, emergono altre realtà. In particolare in ambito sportivo. La storia della defezione di Mollaei, infatti, non è l’unico esempio di atleta, di livello mondiale, che ha deciso di non voler essere più strumentalizzato dal regime.

Gianni Verdoliva