L’esperienza del lock down ha portato a un ripensamento del tessuto urbano in chiave ecologico-ambientalista mentre viene incentivato l’utilizzo di mezzi di trasporto più sostenibili. Forse il Covid-19 modificherà il nostro modo di spostarci in città

“Spostati, qui non ci puoi stare. Vai sul marciapiede con la bicicletta!” Chiunque utilizzi un veicolo a propulsione umana (da poco anche elettrico) su due ruote o tre, per sport o per spostarsi dentro la propria città, ha prima o poi ricevuto questo educato invito. Oltre duecento anni dall’invenzione del primo celerifero, la bicicletta non è ancora riuscita a diventare il mezzo di massa che tutti auspicavano, né per le istituzioni né per l’immaginario collettivo.
Noi italiani non facciamo fatica a concepire come erano fatte le strade alla fine dell’800. Pavé, sanpietrini, ciottolati vari, terra battuta, polvere e tante buche. Chi poteva permetterselo utilizzava carrozze, il resto a piedi. Almeno fino all’arrivo delle biciclette e della ferrovia. Ma le nostre città in realtà sono cambiate innumerevoli volte, così come le vie su cui ci spostiamo. Molti milanesi magari ricorderanno ancora quando dal Castello Sforzesco si poteva arrivare in Duomo in automobile su via Dante. Emblematico il video “Silvano” (uscito nel 1980) di Enzo Jannacci, dove il cantante attraversa con i pattini un’asfaltata via Dante, ora lastricata di “mortale” (almeno per le due ruote) pavé. A Roma si potrebbe fare lo stesso esempio con via dei Fori Imperiali, ma usando i relativi distinguo. Abbandonata quindi l’idea che le nostre strade abbiano avuto uno sviluppo lineare crescente, ci possiamo concentrare su come sono cambiate alla fine del’800 e chi furono i promotori di questo cambiamento.

Lorenzo Baldarelli