Tre proposte di legge, l’attesa per la riforma della Pubblica Amministrazione e la spinta verso la cosiddetta “transizione ecologica” riaccendono le prospettive per una ricostituzione del Corpo Forestale

«L’esistenza o la non esistenza della ricchezza forestale in una nazione è uno dei fattori principali che influenzano il suo sviluppo e il suo progresso». Queste le parole citate da Haile Selassie, l’ultimo imperatore Etiope, che appaiono oggi come uno spietato monito alla scelta di militarizzare il Corpo dei Forestali sottraendolo di fatto ai suoi compiti prevalentemente civili, tanto che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha bocciato la riforma fortemente voluta dal Governo Renzi, e contenuta nel Decreto Legislativo nr. 177/2016.
Imprescindibile premessa è senz’altro l’attuale condizione del Paese che si identifica principalmente nell’applicazione dei progetti inseriti nel Piano di Ripresa e Resilienza (PNRR) e finalizzati dal Governo Draghi, impegnato in uno sforzo di ripartenza dopo oltre un anno di difficoltà economiche nell’era della pandemia da Covid 19; tra le riforme più importanti molte si dirigono nella revisione di tutto il complesso delle attività pubbliche per favorire l’avvio di un processo di trasformazione della macchina amministrativa dello Stato. Uno dei capisaldi di questa rivoluzione, imposta dall’Unione Europea, è l’ennesima riforma della Pubblica Amministrazione che deve fare i conti con un nuovo meccanismo di reclutamento e di digitalizzazione per permettere di utilizzare per intero i Fondi Europei stanziati e messi a disposizione dell’Italia per la realizzazione di progetti di sviluppo e delle necessarie riforme utili a migliorare ed aumentare la scarsa produttività del lavoro che si riverbera negativamente sul nostro Prodotto Interno Lordo e, conseguentemente, sul Debito sovrano dello Stato.
In questo quadro di rinnovamento e sulla spinta delle condanna pecuniaria che l’Europa somministrerà al nostro Paese per non aver ancora emanato una proposta conciliativa in merito alla suddetta sentenza della CEDU, si inserisce la scelta di diversi parlamentari di vari schieramenti politici, in particolare il Gruppo Misto, il Movimento Cinque Stelle e Fratelli d’Italia, di proporre una vera e propria ricostituzione del Corpo dei Forestali, soppresso per effetto dell’emanazione del citato Decreto Legislativo nr. 177/2016 che ha comportato lo spostamento delle competenze all’Arma dei Carabinieri. Questa riforma, che a suo tempo aveva sottratto i Forestali dal regime ad ordinamento civile ed immesso il personale, sub lege, in quello militare, non ha di fatto raggiunto, come era facilmente prevedibile, gli obiettivi che avevano motivato questa scelta: non ci sono stati né i preventivati risparmi dei costi dello Stato a seguito dell’applicazione della cosiddetta spending review (all’opposto, il risicato risparmio di 100 milioni è scomparso poiché sono aumentate le spese complessive a seguito dell’incremento dei danni ambientali), né tantomeno si è avuto un miglioramento del servizio a tutela del patrimonio naturalistico, anzi ulteriormente deteriorato e svilito  per la perdita di molti operatori ad alta professionalità che hanno scelto di non entrare a far parte dell’Arma dei Carabinieri. Tra l’altro si è verificato uno spezzettamento delle competenze e delle attività dell’ex Corpo dei Forestali in altri diversi Enti: nel 2017, in particolare, 6400 Guardie Forestali sono passate all’Arma dei Carabinieri, 350 ai Vigili del Fuoco, 125 alla Polizia di Stato, 45 alla Guardia di Finanza e circa 600 sono state collocate in mobilità e destinate alle Amministrazioni che avevano bisogno di personale. Per meglio capire l’impatto di questa riforma renziana basti pensare che, rispetto all’estate 2012, la superficie di bosco bruciata nel 2017 è aumentata del 50% (da 74.543 ettari a 113.567) mentre le ore di volo degli elicotteri AB412 assegnati ai Carabinieri sono crollate da 716 a 140 (da 179 a 47 ore in media per ciascun mezzo).

Stefano Mirti