Il decreto sicurezza varato dal governo sancisce il passaggio dalla “sicurezza dei diritti” al “diritto alla sicurezza”, dove l’ordine pubblico si manifesta principalmente attraverso la repressione. Un approccio e visione che, anche alla luce di recenti inchieste, rischia di favorire una cultura di polizia “al di sopra della legge”, mettendo in discussione i pilastri della nostra democrazia
È passato più di un anno da quando Giorgia Meloni, commentando i pestaggi subiti da alcuni studenti medi che manifestavano per la Palestina a Pisa e Firenze, affermò che criticare le Forze dell’ordine è pericoloso. Pazienza se gli studenti fossero adolescenti inermi, andati a manifestare alla spicciolata, senza alcun intento violento. Soprattutto, pazienza se il diritto di manifestazione è un diritto garantito dalla nostra Costituzione, alla quale la premier ha giurato fedeltà. Infine, pazienza se le Forze dell’ordine, che siano effettivi della Polizia di Stato o del Corpo dei carabinieri, hanno per mandato di operare in difesa dei diritti costituzionali, non di reprimerli.
L’approccio della compagine governativa nei confronti dell’ordine pubblico, si è esplicitata attraverso il varo del decreto sicurezza, ex DDL 660. Si tratta di un provvedimento che sancisce in modo caricaturale il passaggio dalla sicurezza dei diritti al “diritto alla sicurezza”, per usare la formula del compianto Alessandro Baratta. Una legge che vìola le libertà fondamentali di riunione, di associazione di dissenso, nella misura in cui criminalizza le manifestazioni che culminano in interruzioni stradali. Che punisce severamente chi, occupando le case sfitte, oltre a proclamare il diritto a un bene fondamentale come quello degli alloggi, pone la questione dell’antagonismo tra la ricchezza sociale, che si concreta nella possibilità di disporre di un’abitazione, e quella privata, imperniata sulla valorizzazione della rendita fondiaria. Sempre più a discapito dei ceti popolari, ormai espulsi dai centri storici afflitti dall’overtourism e dalla terziarizzazione.
L’ordine pubblico, per l’esecutivo attualmente in carica, si manifesta principalmente attraverso la repressione. Le forze di polizia, all’interno di questo progetto neo-autoritario di governo dei conflitti contemporanei, svolgono un ruolo cardine, tanto da potere allargare le loro prerogative. È parte del DDL un articolo che prevede il supporto legale da parte dello Stato per quegli esponenti delle Forze dell’ordine che finiscono sotto processo con l’accusa di aver commesso abusi di potere. In altre parole, a misura di neo-liberismo, invece del cliente è il poliziotto ad avere sempre ragione, al netto di ogni diritto dei cittadini. Inoltre, la presunzione di innocenza viene ampliata a dismisura per le Forze dell’ordine, e ridotta per chi ritiene di avere subìto abusi, provocando uno squilibrio che lacera la cornice democratica.
Un altro aspetto critico dello stesso DDL riguarda la concessione agli effettivi delle Forze di polizia la prerogativa di utilizzare le armi da loro acquistate privatamente al di fuori dell’orario di servizio. Anche questo aspetto…
di Vincenzo Scalia – Università di Firenze
