Abused young woman being silenced by her abuserhttp://195.154.178.81/DATA/i_collage/pi/shoots/781140.jpg

La violenza sulle donne. La domanda che sorge spontanea è se sia sufficiente la pur doverosa denuncia, ovvero l’encomiabile installazione di dodici panchine rosse, così come avvenuto recentemente nel territorio cesenate, per ricordare le donne scomparse vittime di violenza. Il femminicidio, come purtroppo sappiamo, consiste nell’omicidio doloso o preterintenzionale di una donna, omicidio che spesso costituisce l’esito di pregresse condotte violente o di maltrattamenti. I moventi più frequenti rilevati nel reato di femminicidio sono la gelosia patologica, il possesso, l’abbandono e la frustrazione. Al fine di fronteggiare questa vera e propria emergenza, il legislatore è intervenuto con il cosiddetto “Codice Rosso” modificando il Codice di Procedura Penale. Scopo della riforma è stato quello di creare sistemi di intervento rapidi e immediati, in modo di agire più velocemente rispetto a situazioni allarmanti in ipotesi di reato quali maltrattamenti in famiglia e violenza di genere. Reati, questi, che costituiscono quasi sempre l’origine dei più gravi episodi di femminicidio. Oggi più di ieri è indispensabile promuovere anche iniziative di formazione, informazione e sensibilizzazione, a livello territoriale, idonee a diffondere la conoscenza e l’approfondimento delle tematiche legate alla violenza di genere e agli strumenti di tutela delle vittime. Nel 2017 in Italia è stata istituita una Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno dei reati di genere, con l’obiettivo di studiare i meccanismi che alimentano la violenza sulle donne e elaborare politiche per contrastarla efficacemente. La Commissione però, ha il limite di affrontare solo “gli aspetti estremi” della questione, il femminicidio appunto, oppure la criminalizzazione delle condotte, senza impegnarsi concretamente  sulle azioni necessarie per creare un contesto efficace di contrasto alle violenze che vengono subite quotidianamente. Aspetti che, sia chiaro, risultano di vitale importanza, ma devono essere inseriti in un progetto più ampio, poiché rappresentano solo la punta dell’iceberg. In Italia durante il primo lockdown del 2020 e subito dopo la fine di quello del 2021 le chiamate ai centri antiviolenza sono aumentate del 73%. In generale nell’anno della pandemia gli omicidi volontari sono scesi ai minimi storici. Un calo che però non ha riguardato le vittime di genere femminile. Infatti la strage delle donne non si è fermata. Un report pubblicato dall’Istat ha rilevato che nel primo semestre del 2020 gli assassini di donne sono stati pari al 45% del totale degli omicidi, contro il 35% dei primi sei mesi del 2019. Da gennaio a giugno 2021 sono ulteriormente aumentati, raggiungendo la soglia del 50%. Un totale di 49 vittime accertate. Lombardia, Puglia, Emilia-Romagna e Piemonte guidano la triste classifica delle regioni con il più alto numero di donne uccise. Nonostante questi numeri altissimi e a differenza di altri allarmi sociali, i femminicidi non occupano le prime pagine dei quotidiani, dedicate principalmente al solo dibattito politico, ma vengono relegati a trafiletti in cronaca nera. O si cambia approccio, o i reati di genere sono destinati ad aumentare ulteriormente. Un contatto che deve essere diretto a prevenire le violenze, a sostegno delle singole donne e delle reti che le supportano; abbandonando l’ottica destinata esclusivamente al mantenimento della sicurezza sociale e dell’ordine pubblico. Temi poco efficaci, che a loro volta hanno caratterizzato gli interventi legislativi negli ultimi anni. La morte fisica è possibile solo dove sono già state consentite tutte le negazioni di dignità fisica, psichica e morale rivolte alle singole donne in quanto tali e alle donne tutte nella loro appartenenza di genere.

Ugo Vandelli