Lo striscione posto sulla facciata del Comune di Napoli per chiedere giustizia per Mario Paciolla, il volontario Onu napoletano morto in Colombia, 18 luglio 2020. ANSA / CIRO FUSCO

Il mistero sulla morte del cooperante napoletano si infittisce mentre le autorità colombiane continuano a sostenere l’assurda ipotesi di suicidio

Fabio Ferrari

Un volontario delle Nazioni Unite morto in circostanze oscure, ripercussioni politiche internazionali, le dimissioni di un alto esponente del governo colombiano, il possibile naufragio di un accordo di pace. Sono questi gli elementi che ruotano intorno alla tragica quanto misteriosa fine di Mario Paciolla.
Il giovane, napoletano di 33 anni, viveva in Colombia dal 2016, era laureato in Scienze Politiche ed aveva alle spalle varie esperienze di cooperazione in Argentina, in Giordania e in India. Mario si era stabilito nel paese di Pablo Escobar come volontario dell’organizzazione non governativa Peace-Brigades International (PBI) e nell’agosto del 2018 aveva iniziato a collaborare con la Missione delle Nazioni Unite sulla verifica degli accordi di pace tra il governo capeggiato da Iván Duque Márquez, membro del partito politico Centro Democratico e le FARC, Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia. Una missione delicata, in una regione martoriata da oltre 50 anni di guerra civile e dove il processo di pace sembra non riuscire mai a trovare un epilogo.
Durante il periodo di servizio presso la Missione Onu, lo scorso 15 luglio Mario è stato trovato impiccato nel suo appartamento nella località di San Vicente del Caguán. Il corpo presentava anche ferite da taglio ai polsi.
Fin da subito le autorità colombiane hanno seguito la pista del suicidio, mentre la procura di Roma ha aperto un’indagine per omicidio. Anche l’ONU ha avviato un’indagine interna i cui risultati sono oggi sconosciuti e ha successivamente revocato l’immunità diplomatica a tutti coloro che avrebbero potuto collaborare con le indagini italiane e colombiane.
Vari sono i sospetti che metterebbero in discussione l’ipotesi che Mario si sia tolto la vita. Innanzitutto, alcuni membri della Missione ONU hanno inquinato la scena del delitto, raccogliendo gli effetti personali della vittima. Risalta la figura di Christian Leonardo Thompson Garzón, responsabile della sicurezza della missione e primo a ritrovare il corpo senza vita di Paciolla, ordinando poi di ripulire l’abitazione in ore decisive per le indagini.
Oltre a quello che sembrerebbe un tentativo di inquinare la scena del crimine, tra gli elementi che portano ad una pista diversa dal suicidio ci sono le testimonianze dei familiari e della ex fidanzata di Mario. Nei giorni precedenti la sua morte il giovane aveva manifestato alla madre una forte inquietudine per la situazione che stava vivendo, comunicandole inoltre di aver prenotato per il 20 luglio il volo (acquistato ma purtroppo mai utilizzato) per tornare a Napoli, viaggio che avrebbe dovuto fare con l’ex fidanzata Ilaria Izzo.
Proprio quest’ultima, interrogata dai magistrati colombiani, ha confermato che in un momento di estrema preoccupazione pochi giorni prima della sua morte Mario le aveva confessato di non fidarsi più di alcuni dei suoi colleghi della missione. In particolare, la Izzo ha esplicitamente indicato il già citato Christian Leonardo Thompson Garzón, il contractor che si occupava della sicurezza della missione Onu, nonché ex militare a riposo dell’esercito colombiano. Trovato per primo il corpo di Mario, Thompson Garzón avrebbe buttato alcuni oggetti presenti nel suo appartamento, facendolo ripulire prima che finissero le verifiche da parte della polizia colombiana. E già il 17 luglio le chiavi di casa erano state restituite al suo proprietario che ha subito rimesso in affitto la casa. Dettaglio non meno importante, tutto il personale della missione che era a San Vincente è stato quindi trasferito a Florencia, a circa 150 chilometri di distanza. Fonti giornalistiche colombiane hanno successivamente rivelato che nella sede della Missione Onu a Bogotà è stato poi trovato un mouse del computer di Paciolla che alcuni dipendenti delle Nazioni Unite, guidati proprio da Thompson Garzón, avevano sottratto nel suo domicilio all’indomani della morte. Secondo il quotidiano El Espectador l’accesso dei funzionari Onu era stato consentito da alcuni poliziotti colombiani, successivamente indagati per “ostacolo alla giustizia”.

Le autopsie.

Il mistero si infittisce se si fa riferimento agli esiti, tra loro non concordi, delle due autopsie condotte sul corpo del nostro connazionale. Per i medici legali colombiani si tratterebbe di suicidio. Il referto ufficiale dell’esame condotto oltreoceano dai forensi, reso noto dal settimanale locale Semana, sostiene che il decesso è stato causato «da una encefalopatia ipossico-ischemica per compressione dei vasi sanguigni del collo per impiccagione».
Nel referto, riportato da Semana lo scorso 17 ottobre, viene indicato che il cadavere del ragazzo «era legato con un lenzuolo che girava quattro volte attorno al suo collo e terminava con un nodo», mentre sui polsi «erano presenti numerosi tagli di differente profondità con sezionamento dei tendini», che Paciolla si sarebbe autoinflitto. Il settimanale colombiano ha consultato degli esperti che hanno assicurato che avvolgersi il lenzuolo intorno al collo in quel modo e fare un nodo «potrebbe essere stato difficile ma non impossibile».

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