Abusi e rimedi: il ruolo del diritto e della comunità

Nel discorso pubblico e nell’opinione comune succede spesso che si invochi la legalità, non solo come risposta al tema della criminalità organizzata e della delinquenza diffusa, ma anche come rimedio al fenomeno del potere arbitrario: cioè, contro l’esercizio di funzioni al di fuori di qualunque controllo e di qualunque tipo di limite.

Sappiamo – e le cronache ce ne danno continue conferme – che il potere tende per sua natura ad espandersi, a conquistare spazi che vanno al di là di quelli normativamente concessi, se non addirittura a “esondare” fuori da ogni argine. Di fronte alle conferme di questa legge che appare inesorabile – e che fu puntualmente richiamata dai grandi classici del pensiero politico, da Machiavelli a Montesquieu fino al Novecento – siamo tentati di considerare il Potere (con la maiuscola) come un fenomeno che sta sopra le nostre teste e che vive in una dimensione sua propria, quasi metafisica, nella quale è difficile entrare e contro la quale appare quasi impossibile agire. Tanto più che, come hanno sottolineato ad esempio, Elias Canetti e Norberto Bobbio, una delle caratteristiche del potere è di agire nel segreto e nell’ombra. Perciò, l’unica cosa che possiamo invocare è che ci sia maggiore legalità, e quindi regole capaci di imbrigliare coloro che si trovano ad esercitare funzioni cui è connesso l’esercizio di un qualche potere.

Questo è peraltro il sogno della cultura giuridica che ha elaborato prima la categoria dello Stato di diritto e successivamente quella dello Stato costituzionale. Soprattutto dopo il fenomeno degli stati totalitari, nei quali il potere aveva assorbito totalmente la sfera giuridica facendole perdere ogni capacità di controllo e riducendo il diritto a puro strumento di dominio di alcuni uomini su altri uomini, si è pensato che compito del diritto fosse proprio quello di catturare e controllare il potere, facendo sì che……

Tommaso GrecoUniversità di Pisa