Fa riflettere l’episodio degli studenti genovesi della Scuola Diaz, avvenuto lo scorso 12 febbraio: i ragazzi del collettivo “Sandro Pertini”, il liceo che ha sede proprio nella struttura dove è stata scritta una delle pagine più brutte e vergognose della storia delle Forze dell’ordine, con la loro protesta hanno di fatto impedito che alcuni esponenti della Polizia di Stato partecipassero a un incontro con gli alunni di tipo “orientamento lavorativo”, insieme ad altri professionisti di diversi settori.

C’era da aspettarselo o no? La mobilitazione degli studenti genovesi dimostra chiaramente due cose: innanzitutto che la memoria non è corta e – a distanza di oltre due decenni – nelle aule della Diaz il ricordo di quella orribile notte del 2001 è ancora molto vivo; in secondo luogo, rimettere piede dentro quella scuola – sia pur per irreprensibili motivazioni di natura socio-didattica – qualche giorno dopo i fatti di Pisa e Firenze, non ha rappresentato di certo una scelta felice.

In questo numero mettiamo il punto sulle ormai discutibili condotte e sulla gestione delle piazze e dell’ordine pubblico da parte di tutte le Forze di polizia nel periodo post pandemico e, in particolare, nell’ultimo biennio. È doveroso farlo: come a Genova, come nei corridoi di Santa Maria Capua Vetere e Reggio Emilia o nelle celle di alcune questure o caserme, ogniqualvolta le polizie si allontanano non solo dalla legge ma anche dai dettami, dai principi che ispirarono la riforma del 1981, è dovere di ogni cittadino democratico chiedere chiarezza e giustizia.

Il timore che si parli della “preistoria”, tuttavia, è più che fondato. Ormai è consuetudine che la storia venga dimenticata e che certe figure fondamentali come Franco Fedeli, col tempo, possano essere messe a margine o diventare addirittura “scomode”. Ne costituisce un esempio il libro a lui dedicato e curato dallo storico Michele Di Giorgio: il progetto è stato finanziato dal SIULP ma al convegno di Bologna, ossia al “Premio Franco Fedeli”, in oltre tre ore di conferenza è stato concesso davvero poco spazio alla presentazione di questo preziosissimo lavoro. Una noncuranza che rende bene l’idea di questa forte ambiguità tra l’ormai “formale” ricordo del grande giornalista (e persona) che fu Franco e lo “stato attuale delle cose”. Sembra ci sia poca voglia di ricordare; o forse, mi chiedo, c’è ormai poca affinità con quel passato?

Al nostro amico Mario Bruno Piras rispondo dunque che, no, non sono sorpreso di questo “attuale stato di cose”, sono amareggiato, questo sì, ma il quesito non smetterò mai di porlo: dov’è finito il sogno di una polizia democratica, vicina ai cittadini? Qualcuno si ricorda i valori inseguiti in quegli anni? Noi stiamo qui apposta, a ricordarlo, a costo di diventare ripetitivi, anacronistici, per qualcuno perfino fastidiosi.

Tornando agli studenti, ritengo che quei ragazzi andrebbero ascoltati, non certo manganellati; basta guardarli per capire che la stragrande maggioranza di loro non costituisce neanche una minaccia per la pubblica sicurezza; sono distanti anni luce dal nostro mondo, dal nostro modo di vedere e vivere la politica, la società, i problemi quotidiani. L’unica “minaccia” è proprio quella di manifestare il dissenso. Certo, se il modello di sicurezza è quello dell’Ungheria di Orbàn, capiamo le difficoltà di questo governo…

Il futuro è di quei ragazzi e non gli stiamo lasciando niente di buono.

Il direttore
Ugo Rodorigo