Sulla strage del 1980 ci sono tanti punti fermi, faticosamente acquisiti grazie alle indagini giudiziarie, ai procedimenti penali e civili e alle inchieste giornalistiche; tuttavia, pur avendo una verità “storica” ormai consolidata, manca ancora una verità processuale che restituisca giustizia alle vittime. Fu guerra aerea nei cieli di Ustica?

“Calma di vento, temperatura 23, autorizzati ai 15, altimetro 1013”. Sono le ultime parole rivolte alla torre di controllo dal pilota del DC-9 Itavia, Domenico Gatti, prima di iniziare la manovra di discesa verso l’aeroporto palermitano di Punta Raisi. Poi, all’improvviso, il silenzio. L’aereo sparisce dai radar. Nulla di anomalo era stato segnalato durante il volo partito da Bologna.

In cabina atmosfera rilassata, battute, tutto regolare. È la sera del 27 giugno 1980. Il giorno dopo, alle prime luci dell’alba, i mezzi di soccorso che stanno setacciando il tratto di mare fra le isole di Ponza e Ustica avvistano i rottami del velivolo e recuperano 42 delle 81 vittime (77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio).

È l’inizio di una moderna tragedia greca a sfondo tecnologico, rappresentata in un teatro di guerra illegale. Daria Bonfietti è a Bologna mentre il primo atto si consuma in pochi istanti di fuoco, gelo e letale depressurizzazione, in un affollatissimo corridoio aereo in cui sono in corso manovre militari. Suo fratello Alberto, con i suoi ottanta compagni di viaggio del volo I-Tigi, viene inghiottito dal Tirreno nel “Punto Condor”, 3700 metri di profondità. Il mare non lo restituirà più. Giace insepolto come Polinice. Ma Daria è qualcosa di più di Antigone. Non ha lottato per seppellire un fratello, ma per ripescare verità e giustizia in fondo ad un torbido mare di depistaggi, bugie, reticenze, coperture e ostruzionismi.

Nelle innumerevoli scene di un dramma quarantennale, l’infinita elaborazione del suo lutto è passata per un aspro conflitto con un’autorità senza volto che attraversa Paesi e governi, in una fittissima ragnatela di alleanze militari internazionali avvolta attorno alla sorte di ottantuno innocenti. Sul muro di gomma dell’omertà politica e militare rimbalzarono per anni i dolenti appelli dei familiari delle vittime, dispersi nelle loro sterili solitudini come i pezzi del DC-9 dell’Itavia, adagiati sul fondale tirrenico, involontario museo subacqueo.

Nel vuoto istituzionale di un Paese a sovranità limitata, nel silenzio complice di una classe politica asservita alla realpolitik atlantica, sul robusto tappeto di falsità steso dall’Aeronautica Militare caddero gli ……

di Francesco Moroni