Le controversie intorno alla “bella” isola di Formosa affondano le radici all’alba del secolo breve, passando per la rivoluzione di Mao e la Guerra Fredda. Ad oggi, però, visti i nuovi sviluppi internazionali e il braccio di ferro tra il gigante cinese e gli Stati Uniti, sembra che il “tempo delle ambiguità” sia ormai giunto al termine

L’escalation di tensioni tra Cina e Stati Uniti attorno a Taiwan ha avuto inizio lo scorso 2 agosto in occasione della visita della speaker della Camera americana Nancy Pelosi sull’isola rivendicata da Pechino.
In quell’occasione la Pelosi, dopo aver incontrato la presidente Tsai Ing-wen e una delegazione del parlamento di Tapei, si è intrattenuta con un piccolo gruppo di attivisti pro-democrazia per poi dichiarare che «la determinazione dell’America di preservare la democrazia, qui a Taiwan e ovunque nel mondo, resta a prova di bomba».
L’effetto della visita è stato proprio quello di una bomba sulle già non facili relazioni tra Washington e Pechino, generando un vero e proprio terremoto politico tra le due sponde del Pacifico. Per Pechino infatti, l’atteggiamento e le dichiarazioni rilasciate dall’esponente americana sono sembrate voler contraddire apertamente il principio di “una sola Cina”, con cui gli Stati Uniti riconoscono la Repubblica Popolare come l’unico legittimo stato cinese.
La reazione cinese, a quella che ai loro occhi è apparsa come una vera e propria provocazione, è stata la più grande esercitazione militare di sempre in quell’area: per tutto il mese di agosto si è potuto assistere ad un susseguirsi di incursioni aeree (se ne calcolano circa 600, quasi quanto il totale di quelle avvenute nei sette mesi precedenti) a cui si è aggiunto il lancio di una decina di missili a est dell’isola.

Le origini della controversia

Taiwan è da anni al centro di una controversia internazionale sul suo riconoscimento come stato sovrano, che trova una sua origine nella guerra sino-giapponese combattuta sul finire dell’800. In quell’occasione l’isola di Taiwan passò sotto il dominio giapponese, che vinse la guerra sancendo anche la fine della Dinastia Quing e quindi dell’impero cinese, che dopo duemila anni lasciò il posto alla Repubblica di Cina, con a capo il partito nazionalista Kuomintang.

Adriano Manna