La guerra va avanti e il braccio di ferro sembra inesorabilmente prolungarsi. Un conflitto che non si combatte solo sulle strade e sulle campagne del suolo ucraino ma anche (e soprattutto) sul piano mediatico. A poche settimane dallo scoccare del primo anno di guerra, infatti, abbiamo tutti la sensazione di sapere veramente poco sull’andamento effettivo del conflitto.

Da un lato abbiamo l’immagine del “gigante russo” che, nonostante le obiettive difficoltà, appare indistruttibile, pronto a tutto pur di difendere la sua egemonia sul principale “corridoio” per Mosca. L’avanzata delle armate russe nel Donbass, il numero sempre più eguale delle forze messe in campo e, infine, una politica estera un po’ “attendista” da parte dei principali Stati europei, sembrerebbero confermare una tenue posizione di vantaggio a favore della Russia.

L’altro lato della narrazione rimanda invece all’immagine di una Russia economicamente in ginocchio, pronta al collasso, militarmente obsoleta e destinata a durare ben poco. Teorizzare che vi sia un futuro problematico ad attendere la Russia risponde sicuramente al vero; il problema è come arrivarci.

Augurarsi il colpo di stato militare e la destituzione di Putin, secondo quanto ipotizzato dal suo ex speechwriter Abbas Gallyamov, potrebbe rivelarsi un po’ limitativo: la strada deve e dovrà rimanere quella della mediazione. Se gli accordi di pace non troveranno terreno fertile sul tavolo delle trattative, ben venga allora un “salvacondotto” per Putin e per i suoi più stretti collaboratori. La storia ci insegna che i migliori accordi si raggiungono solo se entrambe le parti sono disposte a cedere qualcosa. Tale strada, tuttavia, sembra ancora molto lontana.

Un piccolo accenno all’arresto del superlatitante Matteo Messina Denaro. Ci uniamo al plauso generale per la riuscita operazione realizzata dalle forze dell’ordine; ci discostiamo invece dalle tante “chiacchiere” tese a sminuire tale operazione. Tuttavia non possiamo che chiedere anche noi chiarezza sul perché l’ultimo esponente dei corleonesi, principale protagonista della stagione “stragista”, abbia goduto per tre decenni della protezione di “qualcuno” o “alcuni”.

Non basta prendersela con i cittadini comuni di quella regione ancora abbandonata dallo Stato, né solo con la presunta “borghesia mafiosa” invischiata con la criminalità organizzata: vogliamo i “pezzi grossi”, siano essi appartenenti alla classe politica, all’alta finanza o interni agli apparati dello Stato stesso; insomma, vogliamo la verità. Non c’è da chiudere solo il triste capitolo delle stragi ma c’è da combattere l’attualissimo fenomeno della corruzione politica di cui, senza dubbio, Messina Denaro si è servito per fare affari e sfuggire alla giustizia per lunghissimo tempo. Sempre se la storia che ci è stata raccontata sia vera…

Il direttore
Ugo Rodorigo