Il principio di laicità avrebbe dovuto garantire, attraverso le riforme democratiche, quel processo di attuazione e di passaggio da Costituzione formale a quella reale; ancora oggi tale passaggio non ha avuto ancora un tangibile e significativo compimento nel processo di riforme del Paese

Il concetto di laicità della Costituzione repubblicana, dal greco “laikos” che significa “del popolo”, rappresenta appunto il sigillo di garanzia dell’affermazione delle diverse culture e pensieri politici convenuti ai lavori della Assemblea Costituente. Infatti, come si può apprendere anche dai testi di Diritto Costituzionale, i cosiddetti padri fondatori della Costituzione convennero su un concetto molto importante: quello della rappresentazione e della mediazione sulle eterogeneità delle diverse culture e dei pensieri politici, che diedero vita e portarono alla stesura della Carta. Da ciò infatti, è discesa la triplice matrice della Carta Costituzionale: liberale, laico solidarista-socialista e cristiana.

Ricordiamo che convennero alla Assemblea Costituente vari partiti politici fra cui si ricorda: il Partito Comunista con l’onorevole Palmiro Togliatti, i Repubblicani, dei quali molti suoi esponenti provenivano dal Partito d’Azione, il Partito Popolare, il Partito Liberale, il Partito Socialista e Socialdemocratico. La laicità della Costituzione, dunque, è un elemento caratterizzante, che rappresenta il pluralismo e la garanzia di partecipazione alla vita democratica del Paese e della società civile.

Sui diritti civili dei cittadini, il tema della Diaspora dei Popoli e, in particolare, anche della Diaspora Ebrea in Italia ed in Europa, ricordiamo anche l’odierna battaglia strenua condotta dalla senatrice Liliana Segre, nel ricordare le piaghe e gli strascichi della Resistenza Italiana. Il partito socialista e le sinistre vissero in Italia le piaghe del fascismo, così come molti partigiani militanti di partito, facendone le spese e pagando sulla propria pelle. Nel novero non ricordiamo, a tal proposito, soltanto le vittime dei campi di concentramento, ma anche i “confinati” politici, tra cui nomi importanti della storia della Resistenza Italiana, ed ancora iniqui processi politici (anche per ragioni etnico politiche) patiti da persone innocenti e cassati dopo l’avvento della Repubblica. A tal riguardo, si precisa che anche antenati dello scrivente non sono estranei a questi fatti di guerra, che accomunano circa otto milioni e mezzo di italiani.

Ebbene questa storia, da cui sono passati poco più di settant’anni, non è così vetusta, se si pensa che negli Stati Uniti si fa memoria dei profughi ebrei sefarditi, oppressi dal regime spagnolo verso la fine del ‘500, fuggiti dalle coste della penisola iberica verso gli Stati Uniti di America alla ricerca della libertà: la nuova “Terra Promessa”. Pertanto, questo passato, non così “vecchio”, come alcuni oggi potrebbero sostenere, implicitamente, non è affatto una proprietà privata o il propagandismo di qualcuno, e non appartiene a questo o a quel gruppo politico.

La laicità nel nostro Paese avrebbe dovuto garantire, attraverso le riforme democratiche, quel processo di attuazione e di passaggio da Costituzione formale a quella scritta (cioè quella reale). Ma nonostante vari tentativi fatti, fra cui la Commissione bicamerale, sulle riforme ed altre iniziative operate nel corso della Prima Repubblica, sull’affermazione dei diritti civili di tutti i cittadini (senza creare steccati o iniqui “ghetti sociali” oltre che “ghetti etnici”), purtroppo si constata oggigiorno che tale passaggio non ha avuto ancora un tangibile e significativo compimento nel processo di riforme del Paese.

Va altresì precisato un concetto molto importante, a chi non è particolarmente edotto sul concetto di laicità (oppure che ha idee poco chiare): la laicità non nega affatto i valori della Fede, come qualcuno, talora erroneamente, ha affermato. La Fede richiama tutte le culture religiose dei paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo, alle quali si riferisce spesso Sua Santità Papa Francesco, in particolare con l’ultimo incontro promosso presso l’Istituto Teologico della Italia Meridionale a Napoli, tenutosi lo scorso anno. Tale incontro fu organizzato in riferimento al criterio di equiparazione tra fedi cristiane e non (non fanatiche) e culture del Mar Mediterraneo. Ciò viene affermato, secondo l’espressione del concetto molto importante di “Primus Inter pares”, e non “Primus super pares”, affermato del resto anche in importanti documenti contenuti nel Concilio Vaticano II, tra i quali, ad esempio, il “de nostra aetate”.

A proposito del criterio d’equità, anche la cultura della “alternanza”, ribadita in passato anche dal presidente Aldo Moro, richiama il concetto di laicità dello Stato. Secondo la visione dell’onorevole pugliese, vi era la tesi secondo cui due grandi partiti, uno moderato l’altro riformatore, si sarebbero potuti alternare alla guida di un governo. L’alternanza, dunque, non essendo indice di preclusività gratuita, è simbolo di rappresentatività e di pluralismo, cioè laicità (laòs = popolo). Date tali considerazioni, la laicità non è, pertanto, un valore astruso alla nostra cultura, né tanto meno alla nostra Costituzione repubblicana, ma è piuttosto un valore “concreto”, che ha ricadute “concrete” sullo Stato, sulla vita dei cittadini e sulla società civile.

Fermo restando tali posizioni, merita un riconoscimento la senatrice Segre per la sua grande battaglia per la democrazia e per la civiltà, nell’auspicio di un Paese più equo, e non costituito su ghetti etnici e sociali, di campanilismi, e men che meno di particolarismi o di personalismi, di quel particulare di Guicciardini; tutto in nome dei valori della democrazia, della equità sociale e, perché no, anche geografica, di differenze fra Nord e Sud.

I valori della storia della Resistenza italiana (ricordiamo: 8 milioni e mezzo fra confinati, prigionieri e processati politici), nonostante siano passati poco più di settant’anni anni, non sono valori transeunti, nonostante qualcuno, per calcoli di convenienza o ragioni di opportunità, potrebbe voler acquiescere o chiudere nel tiretto, per usare una metafora un po’ grottesca. Quel qualcuno, a differenza di altri, non ha vissuto tutto ciò sulla propria pelle, a differenza di coloro che sanno e che ricordano cosa significa essere perseguitati o prigionieri politici!

Molti dei valori di questa laicità hanno poi generato i diritti civili in Italia, promossi non solo dalla sinistra, come ad esempio lo Statuto dei Lavoratori (basti citare Gino Giugni), ma anche da Popolari come il presidente Fanfani, il ministro Sullo e tanti altri. Si pensi, ad esempio, nel campo infrastrutturale e dell’edilizia pubblica (il piano Ina casa), sulle vie di comunicazione autostradali, miranti a sottrarre alcune zone dell’entroterra del Mezzogiorno, in Calabria e in Basilicata, dall’isolamento geografico. Ebbene se si dimentica tutto ciò, si dimentica che questa è una storia democratica e, appunto, “laica”, a prescindere dall’identità culturale, da cui essa è mutuata: sia essa popolare, socialista, comunista, liberale o repubblicana, etc…

Nel nostro Paese, il rinnovamento della politica, di cui si sente spesso parlare, è legittimo e necessario. Non bisogna però dimenticare, come disse un noto costituzionalista docente universitario nel 1987, “le regole del gioco”, che sono fondamentali, ovvero i valori della Costituzione.

Se qualcuno si prende la briga di andare a rileggere i libri della storia d’Italia, recepisce in modo quasi lapalissiano le differenze di sviluppo che c’erano fra un Nord, lombardo veneto, florido e ricco di industrie, rispetto ad un Sud oggettivamente povero. La persecuzione ad personam non è giusta, ma è giusta, d’altro canto, anche una esegesi oggettiva e critica della nostra storia: vi è una Italia, di fatto, a “due velocità”, mutuando queste differenze da un passato di circa un secolo e mezzo, che parte dall’epoca della dinastia dei Savoia. In tal senso, non si può dimenticare il criterio di laicità delle Istituzioni, che non è un concetto né formale né teorico: è la base del vivere civile e del confronto dialettico parlamentare, basato su argomentazioni legittime e non su attacchi vili e spregiudicati come fatto specie, negli ultimi tempi, ai danni della senatrice Segre, simili a tanti altri nel presente e nel passato, per ragioni di intolleranza e di antisemitismo.

Il senatore Manlio Rossi Doria, eletto all’interno del Partito Socialista nel collegio di Sant’Angelo dei Lombardi nel 1968, fu vittima di prigionia politica a causa del fascismo per ragioni etnico – politiche. La cultura e lo studio, quello applicato, per Rossi Doria ed altri del Partito di Azione, furono fondamentali alla vita sociale ed allo sviluppo socio – economico del Mezzogiorno. Il professor Doria, come lo scrivente ebbe modo di seguire nel corso di qualche convegno, durante il suo giro elettorale inizialmente era visto dai contadini con una certa diffidenza: piano piano, egli cominciò a spiegare a quelle persone, con concetti molto semplici (ma comunque innovativi), nuovi metodi di coltivazione che potessero rendere migliore la loro vita in quelle lande sperdute e arse dal sole, a cavallo tra Campania e Basilicata. Le zone isolate non sono solo quelle dell’ex Principato di Citra, o le province che descrisse Carlo Levi in “Cristo si è fermato ad Eboli”, ma anche quelle tra Avellino e Potenza, in particolare dopo Teora e Morra, De Santis, andando verso Calitri, Pescopagano ed ancora più all’interno, verso Monteverde ed Aquilonia.

Ebbene, fatta questa precisazione, senza dilungarsi troppo nella descrizione, rinviando i particolari ad altra sede, il senatore Doria riuscì col tempo a conquistare la fiducia dei contadini, riuscendo a raccogliere un consenso di circa 16800 preferenze.

Da tale esperienza si può arguire il significato, tramite i valori della cultura e del sapere, che la scienza applicata e la tecnologia servono anche ad alleviare e a facilitare le difficoltà dei lavoratori in tutti gli ambienti di lavoro. Come il senatore Rossi Doria lo spiegava ai contadini, così qualsiasi studioso lo potrebbe, e dovrebbe, fare per migliorare le condizioni del lavoro e della vita di ognuno.

Nel criterio di laicità, la Fede consiste nell’abbattere i muri d’intolleranza razziale e delle evidenti discriminazioni e differenze, garantendo i valori dell’equiparazione e delle pari opportunità, che purtroppo nel nostro Paese non sono pienamente affermate. Chi afferma la propria Fede, lo deve fare per il rispetto del prossimo in termini concreti, non solo immanenti, nell’affermazione della dignità di tutte le creature umane, perché ogni uomo è nato e creato per la sua dignità di persona. Pertanto, l’anelito di realizzazione della persona non può essere inibito, ma sia sempre veicolato verso le pari opportunità, dagli strumenti che lo Stato e l’associazionismo mettono a disposizione.

Questa libertà, dunque, non sia il valore fruito solo da una élite, ma da tutti! La scienza e la tecnica, siano, dunque, assieme ai valori intellettuali, messi al servizio della gente, di tutta la gente (laicos = Popolo) per migliorare le condizioni generali degli individui, in tutti i diversi ambiti della vita quotidiana e del lavoro.

Carmine Acocella