Ennio Di Francesco

Qualche settimana fa gli spettatori dell’emittente televisiva La7, nella trasmissione condotta dal giornalista Massimo Giletti, debbono avere provato sensazioni di sgomento e pena. Al di là di psicoanalitiche letture del personaggio pirandelliano “Commissario per la Sanità in Calabria”, già generale dell’Arma, è apparso un affresco preoccupante del sistema selettivo della dirigenza del Paese, anche in settori delicati e esposti come Salute e Sicurezza della Collettività; ancor più in questo momento di grave difficoltà sanitaria, economica, occupazionale e di ordine pubblico, per la devastante emergenza sanitaria in corso. Come ieri fu per il terrorismo, oggi con tale emergenza si gioca drammaticamente con la vita e la morte delle persone. Balbettare, rimpallare responsabilità sul “piano anticovid”, accennando a buchi milionari, forse connessi allo smantellamento della sanità pubblica, fa soffocare non solo i calabresi malati di Coronavirus, ma gli italiani tutti per mancanza di ossigeno democratico. Quali torti deve ancora subire questa bella ma sciagurata Nazione italiana, con i suoi abitanti onesti e pur privati che di esso sono privati?
Suona, più che mai, amara la frase di Corrado Alvaro, in gente d’Aspromonte: «la disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile». Dalla trasmissione è emerso un sistema dirigenziale, non premiale per competenza e merito, ma spartitorio per appartenenze partitiche, lobbistiche, familistiche. Per non parlare di risvolti corruttivi, vessatori, mobbizzanti. La Magistratura valuterà.
È emerso anche il forte smarrimento fra i Tutori dell’Ordine, e quanto appaia “piccola” la statura del già “generale di corpo d’armata” rispetto ai marescialli Maritano, Di Resta, agli ufficiali Tuttobene, Varisco, Dalla Chiesa (coi quali ho avuto l’onore di lavorare). Sono convinto che da questa brutta vicenda, i Tutori dell’ordine, e non solo, debbano ripartire per un riscatto di dignità che dia un “segnale unitario” di consapevolezza a quanti, governanti, politici, alti burocrati, hanno sfruttato e sfruttano con incompetenza, e spesso cinismo, il senso di servizio di chi, logorando la famiglia e rischiando la vita, tutela ogni istante la sicurezza di tutti, la libertà e la democrazia dell’Italia.
È doveroso: per rispetto, memoria e onore verso i tanti di loro Caduti in servizio (e anche verso i 140 tra carabinieri, poliziotti, guardie carcerarie, finanzieri, suicidatisi negli ultimi sedici mesi). Il mio cuore tristissimo va al magistrato Antonino Scopelliti, ucciso dalla ’ndrangheta in Calabria, e alla nostra ultima stretta di mano a Roma. Ripete alle nostre coscienze Corrado Alvaro: «Nessuna libertà esiste quando non esiste una libertà interiore dell’individuo».

Ennio Di Francesco, già ufficiale dell’Arma, in Sicilia e Calabria; commissario e dirigente di Polizia. Figlio di un maresciallo dei Carabinieri, abruzzese, deceduto per malattia di servizio, comandante per anni nell’Aspromonte calabro, dove lui e mia madre maestra elementare, mi generarono e nacqui.