Il cosiddetto “pacchetto sicurezza” approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 16 novembre
2023 contiene, tra l’altro, il decreto che prevede la possibilità, per gli operatori delle Forze
dell’Ordine – in quanto Agenti di Pubblica Sicurezza – di portare “fuori servizio un’arma privata”.
Ovvero “acquistata a proprie spese” mediante semplice esibizione del tesserino d’appartenenza al
Corpo/Amministrazione.
Trattandosi di decreto il provvedimento richiederà del tempo (sicuramente qualche anno) per il
necessario confronto parlamentare che, laddove dovesse convertirlo in legge, comporterà le
opportune modifiche normative e l’emanazione di specifici regolamenti attuativi.
Il provvedimento, va detto, ha colto di sorpresa anche le rappresentanze sindacali di polizia,
poiché l’iniziativa pare provenire esclusivamente da fonte politica. Più precisamente dal partito di
Fratelli d’Italia sebbene in passato un’analoga proposta, che non riscosse particolare interesse in
quanto da subito accantonata, venne formulata dall’allora parlamentare della Lega On. Gianni
Tonelli (ex segretario generale dell’organizzazione sindacale di polizia Sap).
Va altresì precisato che al momento nessuna delle rappresentanze sindacali ha ritenuto di
esprimere contrarietà alla riproposizione del decreto in argomento. Nemmeno dal Siulp che, però,
ha voluto puntualizzare come non si tratti né di una priorità né, soprattutto, di una propria
rivendicazione. Plauso, invece, oltre che dagli ambienti politici che sostengono il decreto, viene
manifestato da talune riviste specializzate e più in generale da quanti traggano legittimo interesse
dall’indotto commerciale che ruota attorno al settore delle armi.
Fatta questa premessa, credo necessaria per comprendere il contesto di cui trattasi, come accade
in qualunque organizzazione abituata all’arricchimento mediante confronto finalizzato a convergere
verso sintesi condivise, nel SIULP è in atto un dibattito tra quanti guardano con favore alla possibilità
di disporre di una seconda arma da “portare” fuori servizio e quanti, invece, esprimono perplessità.
In questo quadro anche nel nostro territorio, sia a livello provinciale che regionale, si è
sviluppato da subito un partecipato quanto vivace dibattito dal quale è prevalsa la tesi meno
favorevole al decreto. Che, pertanto, verosimilmente sarà quella che confluirà all’interno di un più
attento esame da parte del consesso nazionale (Direttivo Nazionale) del quale, insieme al Segretario
Generale Regionale Friuli Venezia Giulia Fabrizio Maniago, anche io ne sono componente.
Ma perché dal dibattito ancora in corso nei nostri territori al momento sembrano prevalere “più
ombre che luci”? Per più ordini di ragioni che provo a sintetizzare di seguito.
Innanzitutto perché, come anticipato poc’anzi, non risulta che l’esigenza di possedere una
seconda arma provenga dai colleghi. Al riguardo, anche in veste di istruttore di tiro esercitata dal
1981 al 2020, non ricordo che l’argomento sia stato mai posto. Né dai colleghi tantomeno mai
emerso nel corso dei molteplici corsi di aggiornamento per istruttori di tiro presso il CNSPT (centro
nazionale di specializzazione e perfezionamento al tiro) della Polizia di Stato.
I favorevoli alla proposta, invece, sostengono che l’esigenza deriverebbe dalla necessità di
invogliare gli appartenenti alle Forze dell’Ordine ad andare armati, anche al di fuori dell’orario di
servizio, consentendogli di acquistare a loro spese una seconda arma (pistola o revolver) “più
occultabile” di quella d’ordinanza.
A sostegno di tale tesi ricordano che anche l’Amministrazione ne avrebbe preso atto
allorquando, nel 2016, in piena emergenza terrorismo (in particolare dopo l’attentato perpetrato e
Nizza), rimase inascoltata la circolare dell’allora Capo della Polizia Franco Gabrielli con la quale
”consigliava” agli operatori di pubblica sicurezza di portare con sé l’arma – anche fuori servizio – al

fine di incrementare il livello di sicurezza nel Paese. Insomma, l’invito non avrebbe riscosso
l’effetto sperato proprio a causa dell’eccessivo ingombro e impossibilità di occultare l’arma
d’ordinanza. Gli stessi, a sostegno di tale tesi, ricordano che anche l’Amministrazione avrebbe
preso atto di questo gap allorquando, nel 2016, in piena emergenza terrorismo (dopo l’attentato
perpetrato a Nizza), rimase inascoltata la circolare dell’allora Capo della Polizia Franco Gabrielli
con la quale si era premurato di consigliare gli operatori di Pubblica Sicurezza di portare con se’
l’arma, anche fuori servizio, al fine di incrementare il livello di sicurezza nel Paese. Insomma,
l’invito contenuto nella circolare non avrebbe riscosso l’effetto sperato proprio a causa
dell’eccessivo ingombro e inoccultabilità dell’arma d’ordinanza.
Mi permetto di esprimere perplessità anche rispetto a questo assunto attingendo, ancora una
volta, sia all’esperienza di servizio che a quella professionale di istruttore di tiro, riferendo fatti
vissuti personalmente durante i miei 42 anni di carriera tra le fila della Polizia di Stato. Nel corso
dei quali ho avuto modo di utilizzare la pistola semiautomatica Berretta modello 34; la più piccola,
leggera e pertanto occultabile arma da portare fuori servizio. Successivamente e per alcuni anni
anche la Berretta mod. 51; Una formidabile monofilare di calibro superiore (9 parabellum);
conseguentemente di maggiore peso e dimensione rispetto alla precedente mod. 34. Infine, da metà
anni ’80, nelle sue diverse versioni (mod. 92, 92S, 92SB, 92FS), l’attuale modello 92FS certamente
più pesante e meno occultabile delle precedenti.
Ebbene, se mi venisse chiesto quale delle armi avute in dotazione ho portato più volentieri in
servizio in borghese o fuori da quello comandato, non avrei alcun dubbio: quella attualmente in
dotazione. Ovvero quella che, sebbene a giusta ragione viene definita la meno occultabile, rimane la
più affidabile, sicura ed efficiente. Caratteristiche che di gran lunga compensano il gap della
portabilità in abiti borghesi. Anche perché, lo sanno bene i colleghi, oggi esistono fondine, accessori
e abbigliamenti di vario genere che consentono di attenuare un “ingombro” pur tuttavia connesso
alla professione o, meglio, al “servizio” che si è scelto di svolgere.
Quindi un’attività, quella affidata all’appartenente delle Forze dell’Ordine, che conferisce doveri
e attribuzioni particolari. Tra queste, a proposito di attribuzioni, quella di Agente o Ufficiale di
Pubblica Sicurezza. Qualifica dalla quale discende l’onere di essere considerato “in servizio
permanente effettivo”. Sempre. Sia in servizio che al di fuori del turno giornaliero. Persino quando
si è in godimento di riposi settimanali, festivi, periodi di ferie ecc..
Ed è proprio questo particolare status che conferisce all’Ufficiale o Agente di P.S. “l’obbligo”
di andare armati durante in servizio giornaliero e la “facoltà” di continuare a portare l’arma indosso
anche dopo. Beninteso esclusivamente quella d’ordinanza. Ovvero quella in dotazione individuale.
Per la quale l’amministrazione assicura l’addestramento iniziale e quello permanente successivo.
Non solo, ne garantisce la piena efficienza e fornisce gli strumenti e mezzi per la pulizia,
manutenzione e, se del caso, pure la sostituzione.
Pertanto, atteso tra l’altro che sia l’arma che il munizionamento d’ordinanza devono rispondere a
determinate caratteristiche previste da regolamenti interni (anche sotto il profilo disciplinare per cui
non è consentito modificarne le caratteristiche) ma anche a norme e/o convenzioni internazionali
(ad es. convenzione di Ginevra per cui il munizionamento deve essere perforante e non devastante),
sorge spontanea una prima domanda: come si concilia la possibilità di utilizzare armi personali
durante il servizio, seppur esclusivamente con riferimento a quello non comandato?
E ancora, come potrà l’Amministrazione garantire le guarentigie di cui godono Agenti e Ufficiali di
P.G. nel caso in cui questi potrebbero far uso di armi diverse da quelle avute in dotazione
individuale? Per le quali non potrà assicurare addestramento, efficacia, manutenzione ….?
Su questo punto, anticipando quanti hanno sostenuto o sosterranno che la scelta di portare
un’arma personale al di fuori dal turno di servizio giornaliero non è altro che un’estensione di
quanto è già consentito gli Ufficiali di P.S. (vedi art. 73 riportato in riquadro), invito a leggere

anche l’ultimo capoverso: “La facoltà di portare le armi senza licenza è attribuita soltanto ai fini
della difesa personale”.
Quindi delle due l’una: o si è in servizio permanente h24 e pertanto trattasi di “uso legittimo
delle armi da parte di Agenti di P.S. (centinaia di migliaia), oppure vale la seconda ipotesi. Ovvero
quella che, come per gli Ufficiali di P.S. (qualche migliaio), equipara l’utilizzo delle armi alla
stregua di qualunque cittadino – munito di porto d’armi – che ne fa uso limitatamente ai casi di
legittima difesa.
Considerata la complessità della materia, e quindi senza pretesa di essere stato esaustivo e anzi
nella speranza di aver ulteriormente stimolato il dibattito tra i colleghi oltre che l’ambito sindacale,
mi chiedo se non sarebbe il caso di indurre l’Amministrazione ad avvalersi dei suoi tecnici
competenti (ad esempio il CNSPT), a valutare e verificare se quella di una maggiore occultabilità
dell’arma risponde ad esigenze reali. E chissà, magari in caso affermativo, a adoperarsi per
rimediarvi dotando il personale di un’arma diversa o di una seconda da utilizzare per lo svolgimento
di servizio in abiti civili piuttosto che al di fuori di questi. Parrebbe più coerente anche sotto il
profilo dei costi che ritengo ingiustificato possano essere posti a carico del dipendente.

Giovanni Sammito
Segreteria Siulp Gorizia
Direttivo regionale Siulp FVG
Componente Direttivo nazionale Siulp