In buona parte del mondo accademico le sentenze sui concorsi ad personam sono ignorate e il rispetto delle regole è un optional

    Tamquam non essent: come se non ci fossero. Come documentato da Giambattista Scirè nel suo libro “Mala Università” (intervistato nello scorso numero della nostra Rivista) ormai non si contano più i casi in cui sentenze di organi giudiziari – che hanno riconosciuto palesi irregolarità nello svolgimento delle procedure concorsuali, arrivando ad annullarle e condannando gli Atenei – vengono del tutto ignorate.

    “Come se non ci fossero”, appunto. Sono emesse in nome del popolo italiano e dovrebbero, come tutte le sentenze, essere rispettate e applicate dalle amministrazioni condannate. Ma in molte università vengono semplicemente ignorate, soprattutto se osano annullare decisioni prese dalle commissioni concorsuali composte da “chiarissimi” professori, i quali, in virtù del principio di autonomia, interpretato in modo distorto a proprio uso e consumo, si sentono depositari di un potere “assoluto”, cioè sciolto da ogni vincolo.

    Michele Turazza