Nell’ultimo numero ci siamo “interrogati” sull’articolo 11 della nostra Costituzione, ossia sul fatto se il nostro Paese ripudi effettivamente la guerra. Una domanda che dovremmo porci un po’ tutti ma, soprattutto, dovrebbe farlo buona parte della nostra classe politica.
Dobbiamo sforzarci di non essere ingenui: “Finché c’è guerra c’è speranza” recitava il film diretto e interpretato dal grande Alberto Sordi… oltre cinquant’anni dopo, ovviamente, la situazione non è cambiata, anzi. La guerra, le guerre, non sono un mero affare politico bensì “economico”, quello delle armi. Ciò che ogni volta sorprende e, soprattutto, ci rattrista, è la “trasversalità” degli attori coinvolti in questo grande Risiko. A tal riguardo, merita un plauso e un doveroso richiamo l’inchiesta del giornalista Danilo Lupo, uscita qualche settimana fa su La7 nel programma 100 Minuti (“Furbi di guerra”), che ci ha aperto ulteriormente gli occhi sul mondo delle lobby e le strette connessioni tra queste e il mondo della politica.
“Non si fanno guerre senza soldi, non si fanno soldi senza guerre” ha constatato un anonimo connazionale alla più grande fiera delle armi d’Europa, la Enforce Tac, tenutasi a Norimberga; invito tutti, non solo i nostri Lettori, a riflettere su questa realistica aberrazione, mentre quelle stesse armi seminano morte e distruzione in altre zone del mondo distanti da noi, a Gaza, in Ucraina, in svariati Stati africani, nei sobborghi delle metropoli sudamericane. Ma anche (per rimanere sui problemi di casa nostra) mentre i nostri ospedali, le nostre scuole, le nostre periferie, versano in condizioni disastrose, spesso proprio per mancanza di risorse. Alla base di tutto, alla radice di questo profitto, c’è una disumanizzazione subdola, meschina, crudele.
Se riflettere sul dato “umano” può (appunto) sembrare ingenuo, soffermiamoci su quello squisitamente “politico”. Non si può parlare di pace e di disarmo, tanto in Parlamento quanto sui social, e poi prender parte (da “privato cittadino”) a questi mercati di morte. Che si tratti quindi di politici o di ex politici, la questione non cambia: penso che siamo tutti d’accordo sul fatto che un ex rappresentante dello Stato, o di un partito politico, resti responsabile nei confronti dei suoi elettori anche dopo la fine del suo mandato o della sua carriera politica. L’ABC, insomma. L’aspetto che emerge, invece, è una grande ipocrisia che aggiunge oltre al danno anche la beffa.
Quanto è lontana la “questione morale” di una certa parte politica…
Il Direttore,
Ugo Rodorigo