Terzo articolo di avvicinamento ai 40 anni della Riforma del 1981 tramite il racconto in prima persona di un ex poliziotto

Orlando Botti

Anni 1968/69. Durante tutti i servizi di ordine pubblico si stazionava sui mezzi, pronti ad intervenire, per ore e ore, ragion per cui avevo escogitato una semplice soluzione per far passare il tempo e sfruttare quegli intervalli: mi facevo accompagnare dai miei scrittori preferiti, come Kafka, Hemingway, Steinbeck, Camus, ma anche Pavese, Fenoglio, Sciascia.
Spesso si rientrava in caserma stanchi ed esausti per le ore trascorse sulla strada, a volte senza senso, in quanto non si veniva impiegati o si restava chiusi nei tigrotti. Comunque, prevaleva sempre la sottoposizione agli ordini, anche errati talvolta, ma non si poteva protestare appunto perché militari.
La messa domenicale era obbligatoria; anche se la mensa non era gradita bisognava far finta di niente. Altresì vigeva l’obbligo, a cui non ci si poteva sottrarre, di abbonarsi annualmente a Polizia Moderna, rivista editata direttamente dall’Amministrazione.

Il mio primo vagito di contrasto verso dette costrizioni ha avuto inizio quando, rientrando da una libera uscita in caserma, con sotto il braccio il quotidiano Paese Sera, venivo aspramente redarguito dal maresciallo, in quanto stavo leggendo un giornale “comunista ed eversivo”.
Questa molla scattava soprattutto in quanto giorni addietro quello stesso quotidiano aveva pubblicato un inserto di quattro pagine ove veniva ricordato l’episodio accaduto il 2 dicembre 1968 ad Avola, ove la polizia aveva incautamente sparato tra i manifestanti, causando la morte di due contadini e molti feriti, per sgomberare un posto di blocco stradale seguito ad un acceso sciopero. Quello che mi aveva colpito ulteriormente era il fatto che erano stati raccolti 400 bossoli sparati da vari armamenti della Polizia.
Il 19 aprile 1969 un episodio analogo avveniva a Battipaglia, con altre due persone uccise. L’articolo richiamava un ulteriore fatto di sangue, gravissimo, che era accaduto in quel di Reggio Emilia nel luglio del 1960, ove la Polizia aveva ucciso cinque operai nel corso di una manifestazione sindacale.
Quello che non riuscivo a capire era perché erano state usate delle armi invece che i manganelli di ordinanza, e se il loro utilizzo fosse il frutto di determinate circostanze, ma soprattutto perché erano stati colpiti cittadini che manifestavano secondo i loro diritti, sanciti dalla nostra stessa Costituzione, legge suprema dello Stato.

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